DAL 2013 SITO
PATRIMONIO IN PERICOLO - Guerra
civile siriana. Presa del sito da parte dell'organizzazione terroristica
dello Stato Islamico (ISIS), notoriamente iconoclasta.
A 250
km a nord-est di Damasco, circondata dal deserto, si trova l'antica città
di Palmira. La costruzione della città in questi luoghi è stata
possibile dalla presenza di una copiosa sorgente che sgorga dalle
pendici del Gebel Muntar.
Questa sorgente ha permesso la crescita di una estesa oasi di palme,
ulivi e melograni, l'irrigazione e quindi la coltivazione del deserto
circostante oltre al continuo rifornimento idrico alla città. Queste
favorevoli condizioni oltre al fatto che, Palmira, si trova nell'unica
frattura della barriera calcarea che divide il mediterraneo dalla
Mesopotamia, Persia, Asia centrale, e le lontane India e Cina, ha reso
questo luogo il passaggio obbligato per i commerci tra le antiche civiltà.
Tutto questo ha fatto si che Palmira diventasse una fiorente città
dedita al commercio e che riuscì, nel periodo del suo massimo
splendore, a controllare vasti territori.
I più
antichi ritrovamenti di insediamenti umani risalgono al 75.000 anni fa.
La prima documentazione storica di Palmira risale al XIX a.C. in un
contratto assiro rinvenuto a Kültepe in Cappadocia (Anatolia) si fa
riferimento ad un testimone di nome Puzur-Ishtar di Tadmor antico nome
di Palmira, nome che mantiene tuttora la città vicina al sito
archeologico.
Altri
documenti fanno riferimento alla città di Palmira: delle tavolette
scritte in cuneiforme del XVIII secolo a.C., ritrovate a Mari, parlano
di personaggi palmireni e di Palmira; un'altra tavoletta, del XIV-XIII
secolo a.C., ritrovata a Meskenè sull'Eufrate parla sempre di
personaggi palmireni e ha l'impronta del sigillo di una di queste
persone. In epoche successive Palmira è stata abitata dagli Amorrei,
Aramei e Arabi.
In
epoca ellenistica, Palmira era già una fiorente città che basava la
sua economia sul commercio. La sua società era divisa in classi che
dipendevano dal ruolo sociale e dal lavoro svolto: sacerdoti, artigiani,
corporazioni di mercanti.
Dopo
l'assorbimento da parte dell'impero romano, nel 64 a.C., mantenne
comunque una certa indipendenza e la sua grande importanza commerciale.
Plinio il Vecchio vissuto, tra il 23 e il 79 d.C., nella sua Naturalis
Historia scritta nel 77 d.C. dice di Palmira:
...
Palmira è una nobile città per il sito in cui si trova, per
le ricchezze del suolo, per la piacevolezza delle sue acque.
Da ogni lato distese di sabbia circondano i suoi campi, ed
ella è come isolata dal mondo per opera della natura. Godendo
di una sorte privilegiata tra i due maggiori imperi, quello
dei Romani e quello dei Parti, ella viene sollecitata dall'uno
e dall'altro, quando si scatenano le discordie...
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Dopo la
visita dell'imperatore Adriano nel 129, il nome fu cambiato in Tadmur
Adriana e le fu concesso lo stato di Civitas Libera che
permetteva al senato e al popolo di Palmira di stabilire e raccogliere
le tasse, la gestione in proprio delle finanze permise il grande
sviluppo della città culminato nel II secolo, il periodo d'oro di
Palmira.
Le
attività economiche si estendevano ad est fino all'India e alla Cina
attraverso la via della seta, e ad ovest fino a Roma, sostituendo il
ruolo di Petra che aveva perso importanza dopo l'annessione da parte dei
romani nel 106 d.C.

La
dinastia romana dei Severi, in parte di origine siriana, era molto
favorevole a Palmira, tanto che l'imperatore Caracalla figlio del
fondatore della dinasta, Settimio Severo, e di Giulia Domna originaria
di Emesa, concesse alle città di Emesa e Palmira il titolo di colonia
romana e la cittadinanza romana ad alcuni contabili arabi. Questo diede
un'ulteriore spinta allo sviluppo di Palmira ma fu anche l'inizio della
fine.
Un
contabile palmireno, Hairan, grazie alla cittadinanza romana riuscì ad
ottenere un seggio senatoriale a Roma. Nello stesso periodo la dinastia
dei sassanidi, ostile all'occidente, il cui fondatore, Ardashir I aveva
conquistato le foci del Tigri e d'Eufrate, precludendo ai palmireni
l'accesso al golfo arabico; sostituì quella degli arsacidi al regno
della Persia.
Il
figlio del senatore Hairan, di nome Odenato, guidò con successo varie
azioni militari contro i sassanidi fino a cacciarli dall'Anatolia
meridionale. Questi successi militari furono ricompensati
dall'imperatore Galieno con la concessione di importanti qualifiche ma
attirarono l'invidia di qualche avversario che nel 267 lo fece
assassinare.
Il
posto di Odenato fu preso dalla moglie Zenobia in nome del loro figlio
Vaballato ancora bambino. Zenobia era una donna ambiziosa e coraggiosa,
molto ben informata della situazione politica a Roma e in oriente; molto
colta, parlava, oltre l'aramaico di Palmira, il greco e l'egiziano,
affermava di essere una discendente di Cleopatra. Zenobia era descritta,
dai cronisti dell'epoca, come scura di carnagione, con splendidi occhi
neri, denti bianchi come perle, era la donna più nobile e bella di
tutto l'oriente.
Inizialmente
l'imperatore Aureliano non reagì negativamente a questo passaggio di
potere ma la situazione cambiò radicalmente quando Zenobia inviò le
sue truppe, al comando del generale in capo Zabda, ad occupare l'Egitto.
Il motivo di questa azione era di assicurarsi la via delle indie
mediante il controllo del Nilo e del Mar Rosso perchè la via del Golfo
era preclusa dai sassanidi. Sempre per motivi commerciali, le truppe di
Zenobia occuparono l'Anatolia raggiungendo il Bosforo in Caledonia.
Dopo
aver fermato le tribù germaniche, Aureliano decise di porre fine
all'espansionismo palmireno. Le truppe palmirene si ritirarono dalla
Calcedonia e furono raggiunte da Aureliano davanti ad Antiochia dove nel
frattempo era arrivata anche Zenobia. Qui le truppe palmirene,
comandante dal generale Zabda, furono sconfitte e dovettero ritirarsi ad
Emesa.
Qui
Zenobia proclamò il figlio Vaballato Augusto assumendo essa
stessa il titolo di Augusta e rivendicando in questo modo tutto
l'impero romano. Dopo aver ricevuto rinforzi, Aureliano proseguì la sua
marcia fino ad Emesa, dove sulla piana di questa città sconfisse
nuovamente le truppe palmirene. Zenobia si ritirò verso Palmira e la
fece fortificare in tutta fretta in attesa delle truppe romane.

Aureliano
non esitò a inseguire i palmireni attraverso il deserto, dove il suo
esercito soffrì del calore estivo e subì i continui attacchi da parte
dei beduini. Arrivò a Palmira dopo una settimana dove dette inizio
all'assedio della città.
Per
rompere l'assedio Zenobia chiese l'aiuto del re persiano Sapor I ma
Aureliano riuscì a disperdere le truppe del re comprandole a peso d'oro
e nello stesso modo si liberò dei beduini locali che disturbavano le
sue truppe con continui attacchi.
Quando
i viveri cominciarono a scarseggiare Zenobia decise di andare di persona
dal re Sapor I. Uscì dalla città con una piccola scorta e in groppa ad
un dromedario, riuscì a raggiungere l'Eufrate ma al momento di
imbarcarsi fu raggiunta dai soldati romani che la portarono
all'accampamento di Aureliano. La città senza la sua regina e sfinita
dal lungo assedio capitolò nell'agosto del 272. Aureliano vi fece un
ingresso trionfale, vietò ai suoi soldati il saccheggio ma si impossessò
del tesoro e portò la regina assieme ai sui consiglieri a Emesa dove
fece giustiziare alcuni consiglieri, e quindi riprese la strada per
Roma, lasciando a Palmira una guarnigione di 600 arceri.
Giunto
sul Danubio Aureliano dovette combattere contro i Carpi nel frattempo a
Palmira il partito dell'indipendenza, guidato da Apsaeo, si ribellò a
Roma, massacrò la guarnigione e proclamò imperatore un parente di
Zenobia, forse il padre, di nome Antioco. Aureliano, venuto a conoscenza
di questi fatti, ritornò immediatamente a Palmira dove entrò senza
trovare resistenza e la fece saccheggiare. Prima di ritornare a Roma,
Aureliano dovette sedare delle rivolte in Egitto e quindi in Gallia dove
trionfò su Tetrico.
Nel 274
Aureliano ritornò a Roma dove celebrò un trionfo senza precedenti. Nel
corteo sfilarono, oltre all'esercito e ai senatori, elefanti e belve
feroci. Tra i prigionieri sfilarono Tetrico e Zenobia abbigliata come
una regina e legata da catene d'oro. Zenobia fu esiliata a Tivoli dove,
sposata ad un senatore romano, visse come una dama romana.
Sotto
l'imperatore Diocleziano, Palmira si trovava al centro di una rete di
strade e fortini che costituivano il confine est della Siria. Intorno al
300 venne costruito un forte muro di cinta fiancheggiato da torri
quadrate. Sotto l'imperatore Giustiniano (527-565) venne risistemato
l'approvvigionamento idrico e venne modificata una torre quadrata ogni
tre in un bastione semicircolare.
Alla
fine del IV secolo si sa per certo che il cristianesimo era già
presente a Palmira, tra i Padri del Concilio di Nicea nel 325 era
presente il vescovo di Palmira di questo periodo bizantino risalgono le
trasformazioni dei templi di Baal e Baalshamin in chiese e la
costruzione di altre due.
Nel 634
Palmira si arrese a Khalid ibn al-Walid uno dei generali del primo
califfo Abu Bakr. La città mantenne una certa importanza durante il
periodo omayyade. In periodo abasside, a causa dello spostamento della
capitale da Damasco a Baghdad, Palmira perse la sua importanza assieme
al resto della Siria.
Solo
agli inizi del XII secolo, nel periodo delle dinastie selgiuchidi,
Palmira riconquistò una certa importanza. È di questo periodo la
fortificazione del tempio di Baal.
Il
Saladino donò il distretto di Homs, di cui faceva parte Palmira, al
cugino Mohammed ibn Shirkoh. Durante il suo regno e, dopo la sua morte
nel 1200, quello del figlio Asad ad-Din la città ebbe un nuovo periodo
di prosperità.
Il
definitivo declino di Palmira fu in epoca ottomana XVI-XIX secolo che
portò la città a ridursi in un piccolo villaggio alla mercé delle
tribù nomadi. Quando nel 1751 i viaggiatori inglesi Wood e Dawkins
arrivarono a Palmira trovarono un misero paesello circondato da mura.

I
resti della città, sorti in corrispondenza della sorgente Efqa - che
garantiva acque abbondanti per le coltivazioni di ulivi, palme e
melograni -, occupano un'area di oltre
10 chilometri
quadrati. Sebbene manchi di una pianta organica e i suoi quartieri
rispondano a un principio di autonomia tipico delle città d’Oriente,
lo sviluppo di Palmira riflette le concezioni urbanistiche greco-romane.
Ecco allora una grande via colonnata, lunga
1200 metri
e larga 22, il teatro, le terme, e un'adozione diffusa degli ordini
architettonici greci, soprattutto il corinzio.
Dopo
la disfatta di Zenobia la città cominciò a languire e, nonostante il
nuovo impulso datole in seguito dall'imperatore Diocleziano con
l'installazione di un immenso campo militare, Palmira aveva ormai il
destino segnato. Era ormai in rovina quando, nel XII secolo, gli arabi
eressero un castello sullo sperone roccioso che la dominava, ma anche
questa fortezza fu presto abbandonata. E quella che era stata la
magnifica e ambiziosa Palmira venne ricoperta dalle sabbie del deserto.
LA
NECROPOLI
Palmira
è circondata da una serie di necropoli. I monumenti funebri di queste
necropoli fanno comprendere l'importanza che davano i palmireni alla
"casa d'eternità". Si sono trovate delle sepolture
individuali, ma le famiglie più importanti si costruivano il loro
mausoleo. Questi mausolei sono divisi in tre tipi fondamentali:
Tombe a
torre - Sono i monumenti funerari più
antichi, le prime risalgono al I secolo a.C., costruite a forma di torre
a base quadrata appoggiate su un podio a gradini, i vari piani sono
collegati da una scala in pietra. Le prime torri erano molto semplici e
i loculi erano esposti all'esterno, dal I secolo d.C. i parmireni
cominciarono a curare l'aspetto di queste torri sia all'esterno che
all'interno. Questo tipo di tombe sono tipiche di Palmira e non hanno
equivalenti nelle città dell'antico oriente a parte delle tombe nella
regione dell'Eufrate che, però, dipendeva da Palmira.
Gli ipogei
- La costruzione di questo tipo di tombe
inizia dal I secolo d.C. fino ad ora ne sono state scoperte più di
cinquanta ma ne rimangono decine in attesa di essere scavate. La pianta
di queste tombe è quasi uguale per tutte: una galleria principale
davanti all'ingresso e due o quattro ali o esedre laterali.
Le
tombe-case - Queste tombe sono le più
recenti, la maggior parte delle tombe casa risale al III secolo d.C.
Come dice il nome hanno la forma di una piccola casa con un portico
colonnato.

La più
ben conservata delle tombe a torre è quella di Elahbel. Il nome
deriva da uno dei suoi quattro fondatori Elahbel, Ma'nai, Shokayi e
Maliku.
È
stata costruita nel 103 d.C. ed è composta da un ipogeo con l'ingresso
sul lato nord e di una torre a quattro piani con l'ingresso sul lato
sud.
Il
primo piano è ornato da pilastri scanalati con capitelli corinzi che
dividono i sostegni per i loculi. Il soffitto è dipinto e diviso in
cassettoni. Sulla parete est si possono vedere i resti dei busti della
famiglia e, sopra la porta, è presente il busto di uno dei figli
dell'amministratore della tomba.
Queste
tombe venivano costruite dalle famiglie palmirene più ricche che
ponevano i corpi dei loro familiari nei loculi al primo piano. Gli altri
piani erano concessi ai corpi di famiglie sufficientemente ricche da
pagare "l'affitto", ma non abbastanza da potersi
costruire una propria tomba.
Tomba a torre
di Elahbel |
Il primo piano
della tomba di Elahbel |
I loculi di
sepoltura |
Tra gli
ipogei quello detto dei Tre Fratelli è il più interessante. Ci
si accede scendendo su una larga scala in pietra di sei gradini, sulla
porta d'ingresso sono incise cinque iscrizioni le quali informano che
l'ipogeo è stato costruito dai tre fratelli Na'amai, Male e Sa'adai e
che alcune parti sono state vendute nel 160, 191 e 341.
L'interno
è diviso in due ali con le volte a botte, i muri sono ricoperti di
stucco e contengono 65 campate formate da sei loculi. Il fondo della
galleria centrale è decorato da affreschi in stile siro-ellenistico. Le
immagini dei defunti sono dipinte entro spazi rotondi, mentre in alto è
rappresentato Achille tra le figlie di Licomede. Nell'ala sinistra si
trova il monumento funebre di Male con la data di fondazione 142-143
I
palmireni seppellivano i loro morti all'interno di loculi posti uno
sopra l'altro. Questi loculi erano composti dalle sporgenze scolpite su
due pilastri di roccia paralleli, vedi immagine. Queste sporgenze
avevano lo scopo di sorreggere delle lastre di pietra che separavano i
vari loculi e dove venivano appoggiati i corpi.
I
loculi venivano chiusi da un'altra lastra di pietra sulla quale era
stato scolpito, in rilievo, il busto del defunto e il suo nome. Si pensa
che, grazie alla grande individualità dei palmireni, ogni busto
rappresentasse veramente il defunto, ma non è da escludere che gli
artigiani palmireni esponessero nelle loro botteghe una serie di effigi
già pronte dove bastava aggiungere solo il nome.
IL
TEMPIO DI BAAL
Il
monumento attuale è costruito sopra un precedente santuario di epoca
ellenistica che a sua volta è stato costruito sopra ad un tell
artificiale, infatti sono stati trovati dei manufatti dell'epoca del
Bronzo Medio (2200-1500 a.C.) a circa 6 metri di profondità.
La
cella centrale è stata consacrata nel 32 d.C. ma la costruzione del
tempio fu completata solo alla metà del II secolo d.C. La sua
distruzione iniziò nel 273 ad opera di Aureliano durante la seconda
conquista della città.

In
questo tempio si venerava, come dio principale, il dio Bel,
corrispondente a Zeus per i greci e Giove per i romani. Il nome Bel
deriva dalla pronuncia babilonese della parola semitica Ba'al che
significava signore. Nell'antica Palmira si pronunciava Bôl che
in seguito divenne Bel a causa dell'influenza del dio babilonese Bel
Marduk. Altre due divinità erano molto importanti a Palmira: Yarhibol,
dio del sole, e Aglibol, dio della luna. Bel assieme a queste due
divinità formavano la triade cosmica di Palmira e sono rappresentate
nel soffitto del vano all'estremità nord della cella.
Il
tempio è composto da una grande corte di 210×205 metri e da una cella
centrale,. La corte era chiusa da un muro alto, originariamente, 11
metri (peribolo), l'interno di questo muro erano costruiti dei
portici, quelli sui lati nord, est e sud erano a doppia fila di colonne
corinzie. Nel lato ovest, dove si trova l'ingresso attuale, aveva una
sola fila di colonne ma dominava gli altri grazie ad un triplo arco
monumentale (propylon) in linea con l'ingresso alla cella
centrale.
A circa
metà dell'altezza delle colonne sono presenti delle mensole dove erano
poste le statue dei cittadini benemeriti che avevano contribuito alla
costruzione del tempio come indicano le scritte in greco e palmireno.
Queste mensole sono tipiche dell'arte costruttiva palmirena.
Al
centro della corte si trova la cella, il tempio vero e proprio, dove
potevano entrare solo i sacerdoti. Si arriva all'ingresso della cella
tramite un ampio scalone in lieve pendenza, L'ingresso è formato da una
grande porta monumentale di forma leggermente trapezioidale. La cella
era circondata da un portico colonnato (peribolo) di 15×8 colonne.
Il
tetto del peribolo era sorretto da delle monumentali architravi
trasversali sulle quali erano scolpiti dei bellissimi bassorilievi che
rappresentavano divinità e scene di vita, due di queste architravi sono
poste ai due lati della porta monumentale tra la stessa porta e la
cella. Delle piccole tracce di colore dimostrano che, in origine, questi
bassorilievi erano dipinti.

All'interno
della cella, ai lati nord e sud, sono presenti due vani, caratteristici
dei templi orientali, chiamati thalamos (camera in greco). I
soffitti dei vani sono monolitici e scolpiti con decorazioni geometriche
a cassettoni. In quello sud il soffitto è a cupola ed è scolpito con i
bassorilievi dei busti delle sette divinità planetarie con al centro
Bel. Alla sinistra di questo vano una scala porta al tetto dove,
probabilmente, si effettuavano delle cerimonie con fumigazione
d'incenso.
Nel
giorno corrispondente al nostro 7 Aprile di ogni anno, c'era la
celebrazione del dio Bel. Da tutto il territorio controllato da Palmira,
arrivavano migliaia di fedeli per assistere a questa celebrazione.
Questi fedeli portavano, secondo la propria disponibilità economica,
animali da far sacrificare al dio durante la cerimonia. Per sette giorni
questi animali venivano fatti entrare nel tempio attraverso un passaggio
sotto il lato ovest, e quindi venivano fatti passare attorno alla cella
del tempio per sette volte. L'ultimo giorno, dopo il settimo giro, gli
animali venivano portati all'altare dove i sacerdoti li sacrificavano al
dio bel.
Altare
sacrificale |
Lati est e sud
della cella con parte del peribolo |
Il
sangue degli animali sacrificati veniva portato ad un forno, attraverso
un canale, dove veniva cotto e quindi offerto al dio. L'enorme quantità
di carne veniva macellata e quindi divisa tra i sacerdoti del tempio e i
fedeli. La percentuale che veniva data ad ogni fedele dipendeva da
quanti animali avevano portato.
Questo
calcolo veniva fatto grazie delle tessere di terracotta che erano date
alla persona al momento della consegna degli animali. Su queste tessere
veniva scritto il numero e il tipo degli animali e da questo era, in
seguito, calcolata la quantità di carne macellata da consegnare alla
persona. Sono state ritrovate migliaia di queste tavolette di terracotta
in prossimità della sala dei banchetti rituali. Un'altra percentuale di
carne veniva consegnata ai poveri che non potevano permettersi di far
sacrificare nessun animale.
Ingresso degli
animali |
 |
I resti
dell'antica città si estendono per una superficie maggiore di 10
chilometri quadrati, il commercio rese Palmira un centro internazionale
di dimensioni paragonabile alla città di Antiochia, la capitale della
Siria del tempo. I quartieri più importanti di Palmira si trovavano ai
lati della strada principale, Decumanus. Questa strada attraversa
la città di epoca romana da est a ovest, la prima sezione e più larga
delle altre, iniziava dai propilei del tempio di Baal e arrivava
alla porta trionfale che è stata costruita a pianta triangolare per
mascherare l'angolo di questa prima sezione con la seconda. L'andamento
non rettilineo è dovuto al fatto di dover evitare edifici già
preesistenti come il santuario di Nabo, il teatro e l'agorà. Questa
prima sezione, che collegava il tempio di Bel alla città, sembra fosse
utilizzata per scopi religiosi.
La
seconda sezione arriva fino al tetrapylon uno dei centri della
città e non era pavimentata per permettere il passaggio dei cammelli, i
portici laterali, invece, avevano una pavimentazione parziale. Ciascun
portico era largo 7 metri mentre la larghezza della strada era di 11
metri.
Percorrendo
questo tratto del Decumanus si incontra per primo il tempio di
Nabo, sulla sinistra. La pianta di questo tempio corrisponde al tipico
tempio siriano: un'ampia corte chiusa da mura e portico interno con al
centro il tempio. La corte ha pianta trapezoidale, si pensa che questa
forma inusuale sia dovuta alla presenza di monumenti precedenti.

Continuando
lungo la strada verso ovest si incontrano, sulla destra, le terme di
Diocleziano. L'ingresso a queste terme è indicato da quattro colonne in
granito provenienti dall'Egitto. Di queste terme, completate tra il 293
e il 303, è rimasto ben poco ma si può ancora capire la posizione
delle tre stanze tipiche delle terme romane: il frigidarium, il tepidarium
e il calidarium.
Procedendo
sempre nella stessa direzione, nella strada principale, il portico sud
è interrotto da un arco che dà su una strada semicircolare, che
circonda l'emiciclo del teatro. Da qui si entra nel teatro attraverso un
passaggio a volta che porta all'orchestra, cioè la superficie
circondata dalle gradinate della cavea.
Di
queste gradinate ne rimangono solo una dozzina, ossia un terzo di quelle
originali, questo da solo un'idea di come doveva essere in origine. Di
fronte alle gradinate si erge la scena lunga 48 metri e larga 10,5, che
rappresenta la facciata di un palazzo, di questa scena è rimasto solo
il piano terreno ma originariamente ne esistevano altri due.
Il
teatro ha anche una porta centrale che passa sotto le gradinate, da
questa porta si accede ad una strada parallela all'agorà.



Ritornati
sulla strada principale si arriva al tetrapylon. Questo monumento si
trova al centro di una piazza ovale ed è composto da quattro
piedistalli con quattro colonne, all'interno di ogni gruppo di colonne
era presente una statua, ma ai giorni nostri sono arrivati solo i
piedistalli.
Dal
tetrapylon inizia la terza sezione del decumanus che piega di dieci
gradi rispetto la precedente. Questa sezione, lunga circa mezzo
chilometro, attraversa la zona residenziale della città e porta al
campo di Diocleziano
All'ingresso
della città moderna si trova il museo archeologico di Palmira
inaugurato nel 1961. Si viene accolti da una statua di leone, trovata in
frammenti vicino al tempio di Allath e che simboleggia la stessa dea
araba.
Nell'atrio
è stata invece ricostruita una grotta dell'età della pietra scoperta a
22 chilometri a nord della città. Il museo si sviluppa su due piani con
6 sale per ogni piano dove si possono ammirare numerosi manufatti
palmireni ritrovati nel sito archeologico. Tra questi sono molto
numerose le rappresentazioni dei busti di defunti intagliati in lastre
di pietra che chiudevano i loculi funerari.
Sono
esposti statue, sarcofaghi, monete, le tessere in terracotta per
l'ingresso a templi e molto altro. Questi numerosi reperti danno l'idea
dell'alto livello di raffinatezza raggiunto dall'arte palmirea e
dell'abilità dei suoi artigiani.

ZENOBIA
REGINA D'ORIENTE
Un
corteo sontuoso, con elefanti e gladiatori, procede per le strade di
Roma. Al centro, avanza il carro trionfale dell'imperatore Aureliano,
preceduto da una donna che cammina vestita solo di gioielli di foggia
orientale e, alle braccia e ai piedi, ha catene d'oro così pesanti da
dover essere sorrette da uno schiavo. Questo si racconta nella Historia
Augusta, un'opera monumentale che celebra i trionfi militari di Roma. È
il 274 d.C. e la prigioniera è Zenobia, la donna più bella d'Oriente,
colei che ha osato sfidare la potenza di Roma.
La Historia
prosegue raccontando che l'imperatore Aureliano, che l'aveva vinta in
battaglia, soccomberà al fascino di Zenobia, facendone la sua amante e
donandole una dimora a Tivoli.
Di
lei scrisse l'imperatore Aureliano, che l'aveva sconfitta: "Mi
rinfacciano di non essermi comportato da uomo, trionfando su Zenobia. Ma
quegli stessi che mi disapprovano non troverebbero parole sufficienti a
lodarmi se sapessero che donna ella è, se ne conoscessero la saggezza
nelle decisioni, la fermezza nei propositi, la severità nei confronti
dei soldati, se sapessero come può essere generosa e crudele, a seconda
delle necessità". In effetti Zenobia per la sua indole fuori del
comune colpì la fantasia dei suoi contemporanei, che la ritrassero con
tratti romanzeschi non tanto diversi da quelli riservati a figure
leggendarie quali Semiramide e Cleopatra.
Era
una donna intelligente, che conosceva più lingue e scrisse un compendio
di storia orientale, ma soprattutto straordinariamente bella:
"aveva un volto piuttosto bruno, di colorito scuro, occhi neri e
vivacissimi, portamento da dea e bellezza straordinaria. I suoi denti
erano così candidi e smaglianti che molti li scambiavano per
perle", così la descrive
la Vita
dei trenta tiranni compresa nella Historia Augusta (cap. 30). Ella però
fu anche la regina guerriera che fece tremare Roma: arringava i soldati
vestita come gli imperatori romani, con elmo in capo e mantello
purpureo, sapeva alternare clemenza a severità, e sopportava più e
meglio di un uomo le fatiche, al punto che amava andare a cavallo e
talvolta marciare a piedi al fianco dei suoi soldati.
Il
mito di Zenobia, costruito dal racconto della Historia Augusta che
vedeva nella regina l'incarnazione delle migliori virtù maschili e
femminili, sopravviverà al naufragio del mondo antico: lo ritroveremo
nel Trionfo della fama di Petrarca, nelle Donne illustri di Boccaccio,
nel dipinto di Giambattista Tiepolo La regina Zenobia arringa le folle
(1730), nell'opera di Rossini Aureliano in Palmira (1813) e infine anche
nel cinema: nel 1959 uscì nelle sale il film Nel segno di Roma, alla
cui realizzazione contribuì anche Michelangelo Antonioni, dove Zenobia
era interpretata da Anita Ekberg e Aureliano da Gino Cervi.

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