Sito archeologico di Palmira
Siria

 PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1980 - SITO PATRIMONIO IN PERICOLO

    

DAL 2013 SITO PATRIMONIO IN PERICOLO - Guerra civile siriana. Presa del sito da parte dell'organizzazione terroristica dello Stato Islamico (ISIS), notoriamente iconoclasta.

A 250 km a nord-est di Damasco, circondata dal deserto, si trova l'antica città di Palmira. La costruzione della città in questi luoghi è stata possibile dalla presenza di una copiosa sorgente che sgorga dalle pendici del Gebel Muntar.
Questa sorgente ha permesso la crescita di una estesa oasi di palme, ulivi e melograni, l'irrigazione e quindi la coltivazione del deserto circostante oltre al continuo rifornimento idrico alla città. Queste favorevoli condizioni oltre al fatto che, Palmira, si trova nell'unica frattura della barriera calcarea che divide il mediterraneo dalla Mesopotamia, Persia, Asia centrale, e le lontane India e Cina, ha reso questo luogo il passaggio obbligato per i commerci tra le antiche civiltà. Tutto questo ha fatto si che Palmira diventasse una fiorente città dedita al commercio e che riuscì, nel periodo del suo massimo splendore, a controllare vasti territori.

I più antichi ritrovamenti di insediamenti umani risalgono al 75.000 anni fa. La prima documentazione storica di Palmira risale al XIX a.C. in un contratto assiro rinvenuto a Kültepe in Cappadocia (Anatolia) si fa riferimento ad un testimone di nome Puzur-Ishtar di Tadmor antico nome di Palmira, nome che mantiene tuttora la città vicina al sito archeologico.

Altri documenti fanno riferimento alla città di Palmira: delle tavolette scritte in cuneiforme del XVIII secolo a.C., ritrovate a Mari, parlano di personaggi palmireni e di Palmira; un'altra tavoletta, del XIV-XIII secolo a.C., ritrovata a Meskenè sull'Eufrate parla sempre di personaggi palmireni e ha l'impronta del sigillo di una di queste persone. In epoche successive Palmira è stata abitata dagli Amorrei, Aramei e Arabi.

In epoca ellenistica, Palmira era già una fiorente città che basava la sua economia sul commercio. La sua società era divisa in classi che dipendevano dal ruolo sociale e dal lavoro svolto: sacerdoti, artigiani, corporazioni di mercanti. 

Dopo l'assorbimento da parte dell'impero romano, nel 64 a.C., mantenne comunque una certa indipendenza e la sua grande importanza commerciale. Plinio il Vecchio vissuto, tra il 23 e il 79 d.C., nella sua Naturalis Historia scritta nel 77 d.C. dice di Palmira:

... Palmira è una nobile città per il sito in cui si trova, per le ricchezze del suolo, per la piacevolezza delle sue acque. Da ogni lato distese di sabbia circondano i suoi campi, ed ella è come isolata dal mondo per opera della natura. Godendo di una sorte privilegiata tra i due maggiori imperi, quello dei Romani e quello dei Parti, ella viene sollecitata dall'uno e dall'altro, quando si scatenano le discordie...

Dopo la visita dell'imperatore Adriano nel 129, il nome fu cambiato in Tadmur Adriana e le fu concesso lo stato di Civitas Libera che permetteva al senato e al popolo di Palmira di stabilire e raccogliere le tasse, la gestione in proprio delle finanze permise il grande sviluppo della città culminato nel II secolo, il periodo d'oro di Palmira. 

Le attività economiche si estendevano ad est fino all'India e alla Cina attraverso la via della seta, e ad ovest fino a Roma, sostituendo il ruolo di Petra che aveva perso importanza dopo l'annessione da parte dei romani nel 106 d.C.

La dinastia romana dei Severi, in parte di origine siriana, era molto favorevole a Palmira, tanto che l'imperatore Caracalla figlio del fondatore della dinasta, Settimio Severo, e di Giulia Domna originaria di Emesa, concesse alle città di Emesa e Palmira il titolo di colonia romana e la cittadinanza romana ad alcuni contabili arabi. Questo diede un'ulteriore spinta allo sviluppo di Palmira ma fu anche l'inizio della fine.

Un contabile palmireno, Hairan, grazie alla cittadinanza romana riuscì ad ottenere un seggio senatoriale a Roma. Nello stesso periodo la dinastia dei sassanidi, ostile all'occidente, il cui fondatore, Ardashir I aveva conquistato le foci del Tigri e d'Eufrate, precludendo ai palmireni l'accesso al golfo arabico; sostituì quella degli arsacidi al regno della Persia.

Il figlio del senatore Hairan, di nome Odenato, guidò con successo varie azioni militari contro i sassanidi fino a cacciarli dall'Anatolia meridionale. Questi successi militari furono ricompensati dall'imperatore Galieno con la concessione di importanti qualifiche ma attirarono l'invidia di qualche avversario che nel 267 lo fece assassinare.

Il posto di Odenato fu preso dalla moglie Zenobia in nome del loro figlio Vaballato ancora bambino. Zenobia era una donna ambiziosa e coraggiosa, molto ben informata della situazione politica a Roma e in oriente; molto colta, parlava, oltre l'aramaico di Palmira, il greco e l'egiziano, affermava di essere una discendente di Cleopatra. Zenobia era descritta, dai cronisti dell'epoca, come scura di carnagione, con splendidi occhi neri, denti bianchi come perle, era la donna più nobile e bella di tutto l'oriente.

Inizialmente l'imperatore Aureliano non reagì negativamente a questo passaggio di potere ma la situazione cambiò radicalmente quando Zenobia inviò le sue truppe, al comando del generale in capo Zabda, ad occupare l'Egitto. Il motivo di questa azione era di assicurarsi la via delle indie mediante il controllo del Nilo e del Mar Rosso perchè la via del Golfo era preclusa dai sassanidi. Sempre per motivi commerciali, le truppe di Zenobia occuparono l'Anatolia raggiungendo il Bosforo in Caledonia.

Dopo aver fermato le tribù germaniche, Aureliano decise di porre fine all'espansionismo palmireno. Le truppe palmirene si ritirarono dalla Calcedonia e furono raggiunte da Aureliano davanti ad Antiochia dove nel frattempo era arrivata anche Zenobia. Qui le truppe palmirene, comandante dal generale Zabda, furono sconfitte e dovettero ritirarsi ad Emesa. 

Qui Zenobia proclamò il figlio Vaballato Augusto assumendo essa stessa il titolo di Augusta e rivendicando in questo modo tutto l'impero romano. Dopo aver ricevuto rinforzi, Aureliano proseguì la sua marcia fino ad Emesa, dove sulla piana di questa città sconfisse nuovamente le truppe palmirene. Zenobia si ritirò verso Palmira e la fece fortificare in tutta fretta in attesa delle truppe romane.

Aureliano non esitò a inseguire i palmireni attraverso il deserto, dove il suo esercito soffrì del calore estivo e subì i continui attacchi da parte dei beduini. Arrivò a Palmira dopo una settimana dove dette inizio all'assedio della città.

Per rompere l'assedio Zenobia chiese l'aiuto del re persiano Sapor I ma Aureliano riuscì a disperdere le truppe del re comprandole a peso d'oro e nello stesso modo si liberò dei beduini locali che disturbavano le sue truppe con continui attacchi.

Quando i viveri cominciarono a scarseggiare Zenobia decise di andare di persona dal re Sapor I. Uscì dalla città con una piccola scorta e in groppa ad un dromedario, riuscì a raggiungere l'Eufrate ma al momento di imbarcarsi fu raggiunta dai soldati romani che la portarono all'accampamento di Aureliano. La città senza la sua regina e sfinita dal lungo assedio capitolò nell'agosto del 272. Aureliano vi fece un ingresso trionfale, vietò ai suoi soldati il saccheggio ma si impossessò del tesoro e portò la regina assieme ai sui consiglieri a Emesa dove fece giustiziare alcuni consiglieri, e quindi riprese la strada per Roma, lasciando a Palmira una guarnigione di 600 arceri. 

Giunto sul Danubio Aureliano dovette combattere contro i Carpi nel frattempo a Palmira il partito dell'indipendenza, guidato da Apsaeo, si ribellò a Roma, massacrò la guarnigione e proclamò imperatore un parente di Zenobia, forse il padre, di nome Antioco. Aureliano, venuto a conoscenza di questi fatti, ritornò immediatamente a Palmira dove entrò senza trovare resistenza e la fece saccheggiare. Prima di ritornare a Roma, Aureliano dovette sedare delle rivolte in Egitto e quindi in Gallia dove trionfò su Tetrico.

Nel 274 Aureliano ritornò a Roma dove celebrò un trionfo senza precedenti. Nel corteo sfilarono, oltre all'esercito e ai senatori, elefanti e belve feroci. Tra i prigionieri sfilarono Tetrico e Zenobia abbigliata come una regina e legata da catene d'oro. Zenobia fu esiliata a Tivoli dove, sposata ad un senatore romano, visse come una dama romana.

Sotto l'imperatore Diocleziano, Palmira si trovava al centro di una rete di strade e fortini che costituivano il confine est della Siria. Intorno al 300 venne costruito un forte muro di cinta fiancheggiato da torri quadrate. Sotto l'imperatore Giustiniano (527-565) venne risistemato l'approvvigionamento idrico e venne modificata una torre quadrata ogni tre in un bastione semicircolare.

Alla fine del IV secolo si sa per certo che il cristianesimo era già presente a Palmira, tra i Padri del Concilio di Nicea nel 325 era presente il vescovo di Palmira di questo periodo bizantino risalgono le trasformazioni dei templi di Baal e Baalshamin in chiese e la costruzione di altre due.

Nel 634 Palmira si arrese a Khalid ibn al-Walid uno dei generali del primo califfo Abu Bakr. La città mantenne una certa importanza durante il periodo omayyade. In periodo abasside, a causa dello spostamento della capitale da Damasco a Baghdad, Palmira perse la sua importanza assieme al resto della Siria.

Solo agli inizi del XII secolo, nel periodo delle dinastie selgiuchidi, Palmira riconquistò una certa importanza. È di questo periodo la fortificazione del tempio di Baal.

Il Saladino donò il distretto di Homs, di cui faceva parte Palmira, al cugino Mohammed ibn Shirkoh. Durante il suo regno e, dopo la sua morte nel 1200, quello del figlio Asad ad-Din la città ebbe un nuovo periodo di prosperità.

Il definitivo declino di Palmira fu in epoca ottomana XVI-XIX secolo che portò la città a ridursi in un piccolo villaggio alla mercé delle tribù nomadi. Quando nel 1751 i viaggiatori inglesi Wood e Dawkins arrivarono a Palmira trovarono un misero paesello circondato da mura.

I resti della città, sorti in corrispondenza della sorgente Efqa - che garantiva acque abbondanti per le coltivazioni di ulivi, palme e melograni -, occupano un'area di oltre 10 chilometri quadrati. Sebbene manchi di una pianta organica e i suoi quartieri rispondano a un principio di autonomia tipico delle città d’Oriente, lo sviluppo di Palmira riflette le concezioni urbanistiche greco-romane. Ecco allora una grande via colonnata, lunga 1200 metri e larga 22, il teatro, le terme, e un'adozione diffusa degli ordini architettonici greci, soprattutto il corinzio. 

Dopo la disfatta di Zenobia la città cominciò a languire e, nonostante il nuovo impulso datole in seguito dall'imperatore Diocleziano con l'installazione di un immenso campo militare, Palmira aveva ormai il destino segnato. Era ormai in rovina quando, nel XII secolo, gli arabi eressero un castello sullo sperone roccioso che la dominava, ma anche questa fortezza fu presto abbandonata. E quella che era stata la magnifica e ambiziosa Palmira venne ricoperta dalle sabbie del deserto.  

LA NECROPOLI

Palmira è circondata da una serie di necropoli. I monumenti funebri di queste necropoli fanno comprendere l'importanza che davano i palmireni alla "casa d'eternità". Si sono trovate delle sepolture individuali, ma le famiglie più importanti si costruivano il loro mausoleo. Questi mausolei sono divisi in tre tipi fondamentali:

Tombe a torre - Sono i monumenti funerari più antichi, le prime risalgono al I secolo a.C., costruite a forma di torre a base quadrata appoggiate su un podio a gradini, i vari piani sono collegati da una scala in pietra. Le prime torri erano molto semplici e i loculi erano esposti all'esterno, dal I secolo d.C. i parmireni cominciarono a curare l'aspetto di queste torri sia all'esterno che all'interno. Questo tipo di tombe sono tipiche di Palmira e non hanno equivalenti nelle città dell'antico oriente a parte delle tombe nella regione dell'Eufrate che, però, dipendeva da Palmira.

Gli ipogei - La costruzione di questo tipo di tombe inizia dal I secolo d.C. fino ad ora ne sono state scoperte più di cinquanta ma ne rimangono decine in attesa di essere scavate. La pianta di queste tombe è quasi uguale per tutte: una galleria principale davanti all'ingresso e due o quattro ali o esedre laterali.

Le tombe-case - Queste tombe sono le più recenti, la maggior parte delle tombe casa risale al III secolo d.C. Come dice il nome hanno la forma di una piccola casa con un portico colonnato.

La più ben conservata delle tombe a torre è quella di Elahbel. Il nome deriva da uno dei suoi quattro fondatori Elahbel, Ma'nai, Shokayi e Maliku. 

È stata costruita nel 103 d.C. ed è composta da un ipogeo con l'ingresso sul lato nord e di una torre a quattro piani con l'ingresso sul lato sud.

Il primo piano è ornato da pilastri scanalati con capitelli corinzi che dividono i sostegni per i loculi. Il soffitto è dipinto e diviso in cassettoni. Sulla parete est si possono vedere i resti dei busti della famiglia e, sopra la porta, è presente il busto di uno dei figli dell'amministratore della tomba.

Queste tombe venivano costruite dalle famiglie palmirene più ricche che ponevano i corpi dei loro familiari nei loculi al primo piano. Gli altri piani erano concessi ai corpi di famiglie sufficientemente ricche da pagare "l'affitto", ma non abbastanza da potersi costruire una propria tomba.

Tomba a torre di Elahbel

Il primo piano della tomba di Elahbel

I loculi di sepoltura

Tra gli ipogei quello detto dei Tre Fratelli è il più interessante. Ci si accede scendendo su una larga scala in pietra di sei gradini, sulla porta d'ingresso sono incise cinque iscrizioni le quali informano che l'ipogeo è stato costruito dai tre fratelli Na'amai, Male e Sa'adai e che alcune parti sono state vendute nel 160, 191 e 341.

L'interno è diviso in due ali con le volte a botte, i muri sono ricoperti di stucco e contengono 65 campate formate da sei loculi. Il fondo della galleria centrale è decorato da affreschi in stile siro-ellenistico. Le immagini dei defunti sono dipinte entro spazi rotondi, mentre in alto è rappresentato Achille tra le figlie di Licomede. Nell'ala sinistra si trova il monumento funebre di Male con la data di fondazione 142-143

I palmireni seppellivano i loro morti all'interno di loculi posti uno sopra l'altro. Questi loculi erano composti dalle sporgenze scolpite su due pilastri di roccia paralleli, vedi immagine. Queste sporgenze avevano lo scopo di sorreggere delle lastre di pietra che separavano i vari loculi e dove venivano appoggiati i corpi. 

I loculi venivano chiusi da un'altra lastra di pietra sulla quale era stato scolpito, in rilievo, il busto del defunto e il suo nome. Si pensa che, grazie alla grande individualità dei palmireni, ogni busto rappresentasse veramente il defunto, ma non è da escludere che gli artigiani palmireni esponessero nelle loro botteghe una serie di effigi già pronte dove bastava aggiungere solo il nome.

IL TEMPIO DI BAAL

Il monumento attuale è costruito sopra un precedente santuario di epoca ellenistica che a sua volta è stato costruito sopra ad un tell artificiale, infatti sono stati trovati dei manufatti dell'epoca del Bronzo Medio (2200-1500 a.C.) a circa 6 metri di profondità.

La cella centrale è stata consacrata nel 32 d.C. ma la costruzione del tempio fu completata solo alla metà del II secolo d.C. La sua distruzione iniziò nel 273 ad opera di Aureliano durante la seconda conquista della città.

In questo tempio si venerava, come dio principale, il dio Bel, corrispondente a Zeus per i greci e Giove per i romani. Il nome Bel deriva dalla pronuncia babilonese della parola semitica Ba'al che significava signore. Nell'antica Palmira si pronunciava Bôl che in seguito divenne Bel a causa dell'influenza del dio babilonese Bel Marduk. Altre due divinità erano molto importanti a Palmira: Yarhibol, dio del sole, e Aglibol, dio della luna. Bel assieme a queste due divinità formavano la triade cosmica di Palmira e sono rappresentate nel soffitto del vano all'estremità nord della cella.

Il tempio è composto da una grande corte di 210×205 metri e da una cella centrale,. La corte era chiusa da un muro alto, originariamente, 11 metri (peribolo), l'interno di questo muro erano costruiti dei portici, quelli sui lati nord, est e sud erano a doppia fila di colonne corinzie. Nel lato ovest, dove si trova l'ingresso attuale, aveva una sola fila di colonne ma dominava gli altri grazie ad un triplo arco monumentale (propylon) in linea con l'ingresso alla cella centrale.

A circa metà dell'altezza delle colonne sono presenti delle mensole dove erano poste le statue dei cittadini benemeriti che avevano contribuito alla costruzione del tempio come indicano le scritte in greco e palmireno. Queste mensole sono tipiche dell'arte costruttiva palmirena.

Al centro della corte si trova la cella, il tempio vero e proprio, dove potevano entrare solo i sacerdoti. Si arriva all'ingresso della cella tramite un ampio scalone in lieve pendenza, L'ingresso è formato da una grande porta monumentale di forma leggermente trapezioidale. La cella era circondata da un portico colonnato (peribolo) di 15×8 colonne. 

Il tetto del peribolo era sorretto da delle monumentali architravi trasversali sulle quali erano scolpiti dei bellissimi bassorilievi che rappresentavano divinità e scene di vita, due di queste architravi sono poste ai due lati della porta monumentale tra la stessa porta e la cella. Delle piccole tracce di colore dimostrano che, in origine, questi bassorilievi erano dipinti.

All'interno della cella, ai lati nord e sud, sono presenti due vani, caratteristici dei templi orientali, chiamati thalamos (camera in greco). I soffitti dei vani sono monolitici e scolpiti con decorazioni geometriche a cassettoni. In quello sud il soffitto è a cupola ed è scolpito con i bassorilievi dei busti delle sette divinità planetarie con al centro Bel. Alla sinistra di questo vano una scala porta al tetto dove, probabilmente, si effettuavano delle cerimonie con fumigazione d'incenso.

Nel giorno corrispondente al nostro 7 Aprile di ogni anno, c'era la celebrazione del dio Bel. Da tutto il territorio controllato da Palmira, arrivavano migliaia di fedeli per assistere a questa celebrazione. Questi fedeli portavano, secondo la propria disponibilità economica, animali da far sacrificare al dio durante la cerimonia. Per sette giorni questi animali venivano fatti entrare nel tempio attraverso un passaggio sotto il lato ovest, e quindi venivano fatti passare attorno alla cella del tempio per sette volte. L'ultimo giorno, dopo il settimo giro, gli animali venivano portati all'altare dove i sacerdoti li sacrificavano al dio bel.

Altare sacrificale

Lati est e sud della cella con parte del peribolo

Il sangue degli animali sacrificati veniva portato ad un forno, attraverso un canale, dove veniva cotto e quindi offerto al dio. L'enorme quantità di carne veniva macellata e quindi divisa tra i sacerdoti del tempio e i fedeli. La percentuale che veniva data ad ogni fedele dipendeva da quanti animali avevano portato. 

Questo calcolo veniva fatto grazie delle tessere di terracotta che erano date alla persona al momento della consegna degli animali. Su queste tessere veniva scritto il numero e il tipo degli animali e da questo era, in seguito, calcolata la quantità di carne macellata da consegnare alla persona. Sono state ritrovate migliaia di queste tavolette di terracotta in prossimità della sala dei banchetti rituali. Un'altra percentuale di carne veniva consegnata ai poveri che non potevano permettersi di far sacrificare nessun animale. 

Ingresso degli animali

I resti dell'antica città si estendono per una superficie maggiore di 10 chilometri quadrati, il commercio rese Palmira un centro internazionale di dimensioni paragonabile alla città di Antiochia, la capitale della Siria del tempo. I quartieri più importanti di Palmira si trovavano ai lati della strada principale, Decumanus. Questa strada attraversa la città di epoca romana da est a ovest, la prima sezione e più larga delle altre, iniziava dai propilei del tempio di Baal e arrivava alla porta trionfale che è stata costruita a pianta triangolare per mascherare l'angolo di questa prima sezione con la seconda. L'andamento non rettilineo è dovuto al fatto di dover evitare edifici già preesistenti come il santuario di Nabo, il teatro e l'agorà. Questa prima sezione, che collegava il tempio di Bel alla città, sembra fosse utilizzata per scopi religiosi.

La seconda sezione arriva fino al tetrapylon uno dei centri della città e non era pavimentata per permettere il passaggio dei cammelli, i portici laterali, invece, avevano una pavimentazione parziale. Ciascun portico era largo 7 metri mentre la larghezza della strada era di 11 metri.

Percorrendo questo tratto del Decumanus si incontra per primo il tempio di Nabo, sulla sinistra. La pianta di questo tempio corrisponde al tipico tempio siriano: un'ampia corte chiusa da mura e portico interno con al centro il tempio. La corte ha pianta trapezoidale, si pensa che questa forma inusuale sia dovuta alla presenza di monumenti precedenti.

Continuando lungo la strada verso ovest si incontrano, sulla destra, le terme di Diocleziano. L'ingresso a queste terme è indicato da quattro colonne in granito provenienti dall'Egitto. Di queste terme, completate tra il 293 e il 303, è rimasto ben poco ma si può ancora capire la posizione delle tre stanze tipiche delle terme romane: il frigidarium, il tepidarium e il calidarium.

Procedendo sempre nella stessa direzione, nella strada principale, il portico sud è interrotto da un arco che dà su una strada semicircolare, che circonda l'emiciclo del teatro. Da qui si entra nel teatro attraverso un passaggio a volta che porta all'orchestra, cioè la superficie circondata dalle gradinate della cavea. 

Di queste gradinate ne rimangono solo una dozzina, ossia un terzo di quelle originali, questo da solo un'idea di come doveva essere in origine. Di fronte alle gradinate si erge la scena lunga 48 metri e larga 10,5, che rappresenta la facciata di un palazzo, di questa scena è rimasto solo il piano terreno ma originariamente ne esistevano altri due.

Il teatro ha anche una porta centrale che passa sotto le gradinate, da questa porta si accede ad una strada parallela all'agorà.

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Ritornati sulla strada principale si arriva al tetrapylon. Questo monumento si trova al centro di una piazza ovale ed è composto da quattro piedistalli con quattro colonne, all'interno di ogni gruppo di colonne era presente una statua, ma ai giorni nostri sono arrivati solo i piedistalli.

Dal tetrapylon inizia la terza sezione del decumanus che piega di dieci gradi rispetto la precedente. Questa sezione, lunga circa mezzo chilometro, attraversa la zona residenziale della città e porta al campo di Diocleziano

All'ingresso della città moderna si trova il museo archeologico di Palmira inaugurato nel 1961. Si viene accolti da una statua di leone, trovata in frammenti vicino al tempio di Allath e che simboleggia la stessa dea araba.

Nell'atrio è stata invece ricostruita una grotta dell'età della pietra scoperta a 22 chilometri a nord della città. Il museo si sviluppa su due piani con 6 sale per ogni piano dove si possono ammirare numerosi manufatti palmireni ritrovati nel sito archeologico. Tra questi sono molto numerose le rappresentazioni dei busti di defunti intagliati in lastre di pietra che chiudevano i loculi funerari.

Sono esposti statue, sarcofaghi, monete, le tessere in terracotta per l'ingresso a templi e molto altro. Questi numerosi reperti danno l'idea dell'alto livello di raffinatezza raggiunto dall'arte palmirea e dell'abilità dei suoi artigiani.

ZENOBIA REGINA D'ORIENTE

Un corteo sontuoso, con elefanti e gladiatori, procede per le strade di Roma. Al centro, avanza il carro trionfale dell'imperatore Aureliano, preceduto da una donna che cammina vestita solo di gioielli di foggia orientale e, alle braccia e ai piedi, ha catene d'oro così pesanti da dover essere sorrette da uno schiavo. Questo si racconta nella Historia Augusta, un'opera monumentale che celebra i trionfi militari di Roma. È il 274 d.C. e la prigioniera è Zenobia, la donna più bella d'Oriente, colei che ha osato sfidare la potenza di Roma. La Historia prosegue raccontando che l'imperatore Aureliano, che l'aveva vinta in battaglia, soccomberà al fascino di Zenobia, facendone la sua amante e donandole una dimora a Tivoli.  

Di lei scrisse l'imperatore Aureliano, che l'aveva sconfitta: "Mi rinfacciano di non essermi comportato da uomo, trionfando su Zenobia. Ma quegli stessi che mi disapprovano non troverebbero parole sufficienti a lodarmi se sapessero che donna ella è, se ne conoscessero la saggezza nelle decisioni, la fermezza nei propositi, la severità nei confronti dei soldati, se sapessero come può essere generosa e crudele, a seconda delle necessità". In effetti Zenobia per la sua indole fuori del comune colpì la fantasia dei suoi contemporanei, che la ritrassero con tratti romanzeschi non tanto diversi da quelli riservati a figure leggendarie quali Semiramide e Cleopatra. 

Era una donna intelligente, che conosceva più lingue e scrisse un compendio di storia orientale, ma soprattutto straordinariamente bella: "aveva un volto piuttosto bruno, di colorito scuro, occhi neri e vivacissimi, portamento da dea e bellezza straordinaria. I suoi denti erano così candidi e smaglianti che molti li scambiavano per perle", così la descrive la Vita dei trenta tiranni compresa nella Historia Augusta (cap. 30). Ella però fu anche la regina guerriera che fece tremare Roma: arringava i soldati vestita come gli imperatori romani, con elmo in capo e mantello purpureo, sapeva alternare clemenza a severità, e sopportava più e meglio di un uomo le fatiche, al punto che amava andare a cavallo e talvolta marciare a piedi al fianco dei suoi soldati. 

Il mito di Zenobia, costruito dal racconto della Historia Augusta che vedeva nella regina l'incarnazione delle migliori virtù maschili e femminili, sopravviverà al naufragio del mondo antico: lo ritroveremo nel Trionfo della fama di Petrarca, nelle Donne illustri di Boccaccio, nel dipinto di Giambattista Tiepolo La regina Zenobia arringa le folle (1730), nell'opera di Rossini Aureliano in Palmira (1813) e infine anche nel cinema: nel 1959 uscì nelle sale il film Nel segno di Roma, alla cui realizzazione contribuì anche Michelangelo Antonioni, dove Zenobia era interpretata da Anita Ekberg e Aureliano da Gino Cervi.