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Santuari
minori
Il
campo dei Pastori - Ad
est di Betlemme, a circa 2
km dal centro abitato, si
trova il villaggio di Beit
Sahur, la casa dei
“guardiani”, di coloro
che vigilano, dove si
incontra il Campo dei
Pastori. Il Santuario è
raggiungibile anche a
piedi, proseguendo per la
strada della Grotta del
Latte.
Già
al tempo di S. Elena si
trovava qui una chiesa
dedicata agli Angeli che
avevano annunciato ai
pastori la nascita del
Redentore. Dopo alterne e
combattute vicende,
vennero costruite, nel
secolo scorso, una
canonica e una scuola, in
attesa di poter avere
anche una chiesa. Nel
frattempo, il culto, prima
tenuto in una grotta
chiamata
"Mihwara", si
svolgeva in ambienti
provvisori della casa
parrocchiale.
Infine,
nel 1950, fu inaugurata la
chiesa che oggi vediamo,
opera dell'architetto
Antonio Barluzzi, dedicata
alla Madonna di Fatima e a
S. Teresa di Lisieux. Alla
edificazione contribuirono
non poco gli abitanti del
luogo, eredi della
generosità di Booz, il
personaggio maschile del
Libro di Rut.
L'elegante
portico della chiesa ha
tre archi a sesto acuto e
la facciata è coronata in
alto da uno snello motivo
di archetti, che si
prolunga sui muri
laterali. L'interno è
diviso in tre navate da
due file di quattro
colonne ciascuna. I fusti
delle colonne, di pietra
rosa locale, a prima vista
un po' tozzi, sono resi
affusolati mediante un
semplice espediente
ottico: i tamburi che li
compongono hanno, dalla
base al capitello, altezza
decrescente.
Gli
archi a sesto acuto, molto
stretti, creano
l'illusione che l'interno
sia più lungo del vero.
Molto originali sono i
capitelli, massicci ma non
pesanti. Particolarmente
degno di nota è l'altar
maggiore, vero gioiello
dell'arte scultorea
palestinese, che, malgrado
le dimensioni, più che
una scultura in pietra
sembra una miniatura di
avorio. Tra il paliotto
(parte frontale e lati) e
il gradino, abbiamo 15
scene, dall'Annunciazione
della Vergine, all'arrivo
in Egitto della Sacra
Famiglia.

Nella
parte centrale del
gradino, all'altezza del
tabernacolo, si vedono le
4 statuine degli
Evangelisti mentre nella
parte superiore i dodici
Apostoli circondano la
figura del Cristo. Autori
dell'opera furono Issa
Zmeir, betlemita, e
Abdullah Haron,
betsahurino.
Beit
Sahur si stende in mezzo
ai così detti 'campi di
Booz'; in uno di questi si
trovavano i pastori nella
notte gloriosa della
Natività. L'angelo disse
loro: Non temete! Ecco, vi
porto una lieta novella
che sarà di grande gioia
per tutto il popolo: Oggi
nella città di Davide è
nato un salvatore che è
il Cristo Signore"
(Luca 2, 10-11). Sebbene
le parole del Vangelo non
permettano di stabilire
esattamente il luogo
dell'apparizione angelica,
pure l'antica tradizione
lo ha fissato in località
Siyar el-Ghanam, il Campo
dei Pastori, poco discosto
da Beit Sahur.
Gli
scavi effettuati da P.
Virgilio Corbo, ofm, nel
1951-52 hanno sondato le
rovine più a fondo dei
precedenti (C. Guarmani,
1859), dando a queste una
datazione precisa. Le
tracce di vita nelle
grotte, risalenti ai
periodi erodiano e romano,
i resti di frantoi
antichissimi, reperiti
sotto le fondamenta di due
monasteri, dimostrano
senza possibilità di
dubbio, che il luogo era
abitato all'epoca della
nascita di Gesù a
Betlemme.
Lo
studioso ha avuto
sottomano materiale
sufficiente per poter
parlare di una piccola
comunità agricola.
Inoltre, a Siyar el-Ghanam
esistono i resti di una
torre di guardia, ora
incorporati nell'ospizio
francescano. Morta
Rachele, Giacobbe
"partì e rizzò le
tende al di là di
Migdal-Eder" (Gen 35,
21), al di là della
'torre del gregge'. I
Targumin localizzarono
questa torre a est di
Betlemme, specificando che
in quel luogo il Messia
sarebbe stato annunciato.
La tradizione talmudica
indicava la stessa regione
e la tradizione cristiana,
dopo la nascita di nostro
Signore, accettò e
mantenne la
localizzazione.
S.
Girolamo vede la torre a
"circa mille passi
(romani) da
Betlemme", e aggiunge
che là gli angeli avevano
annunciato ai pastori la
nascita del Redentore.
Quanto rimane
dell'insediamento agricolo
e della torre di guardia
spiega molto bene una
espressione del testo
originale greco di Luca.
Secondo i più qualificati
esegeti (tra cui M. J.
Lagrange), il verbo
impiegato da Luca non
significa che i pastori
"passavano la notte
all'aperto", bensì
che "vivevano nella
campagna".

Gli
scavi hanno rintracciato
l'esistenza di due
monasteri, uno del IV-V
sec., l'altro del VI sec.
Del primo abbiamo le
fondazioni dell'abside
della chiesa e di vari
muri. Nel VI sec. la
chiesa venne demolita e
ricostruita nello stesso
posto, con l'abside
leggermente spostata verso
est. Del secondo monastero
abbiamo egualmente parti
dell'abside sui muri di
numerosi ambienti.
P.
Corbo ebbe la netta
sensazione che molte
pietre del IV sec.,
riusate nell'abside della
chiesa del VI sec.,
provengano dalla basilica
costantiniana della
Natività. Il luogo dove
si trovano i monasteri non
è il più felice della
zona, dato che è in
pendenza. Il fatto che la
seconda chiesa sia stata
edificata esattamente
sopra la prima conferma
ulteriormente che un
particolare ricordo era
collegato al luogo.
Il
monastero del VI sec. fu
distrutto verso l'VIII
sec. dai Musulmani, che
cercarono perfino di
cancellare i segni
cristiani scalpellando e
abradendo le pietre sulle
quali si trovavano. Tra i
vani del secondo monastero
ne sono stati identificati
alcuni, adibiti a scopi
particolari: portineria,
panetteria con grande
macina di basalto,
refettorio, frantoi,
grotta-cantina, stalla.
Sono stati portati alla
luce anche il sistema di
canalizzazione e diverse
cisterne. Il Santuario
attuale fu costruito nel
1953-54 su progetto
dell'arch. Antonio
Barluzzi. Sia la posa
della prima pietra che
l'inaugurazione ebbero
luogo il giorno di Natale.
Il
Santuario sorge sul
roccione che domina le
rovine. Esso rappresenta
un accampamento di
pastori: un poligono a
dieci lati, cinque dritti
e cinque sporgenti e
inclinati verso il centro,
a forma di tenda. La luce,
che penetra generosamente
dalla cupola in
vetrocemento, inonda
l'interno richiamando alla
mente la luce vivissima
che apparve ai pastori.
L'altorilievo in bronzo,
sull'architrave della
porta, è dello scultore
D. Cambellotti, che ha
creato anche il portale,
le quattro statue di
bronzo che reggono l'altar
maggiore, posto al centro
della cappella, i
candelieri e le croci.
L'architetto U. Noni ha
affrescato le tre absidi e
lo scultore A. Minghetti
ha curato l'esecuzione dei
10 angeli di stucco della
cupola.

La
Grotta del Latte - Dalla
parte orientale del colle
nel quale si erge la
Basilica della Natività,
si trova la Grotta del
Latte, detta in arabo
"Magharet Sitti
Mariam", la grotta
della Signora Maria. Il
luogo è raggiungibile
percorrendo una stradina
che prosegue lungo il lato
sud della Basilica (Tarik
Magharet el Halib, via
della Grotta del Latte)
che parte dalla piazza
centrale di Betlemme.
Secondo una leggenda del
VI sec., la Madonna si
nascose qui durante la
strage degli Innocenti,
allontanandosi dalla
mangiatoia, dove aveva
messo al riparo il
Bambino, dai persecutori
mandati da Erode. Questa
leggenda scomparve presto
e fu sostituita da
un’altra.
S.
Giuseppe, avvertito da un
angelo del pericolo che
incombeva sul Bambino e
della necessità di
trasferirsi in Egitto, si
mise subito a fare i
preparativi per il viaggio
e sollecitò la vergine
che stava allattando.
Alcune gocce, nella
fretta, caddero a terra e
la roccia da rosa divenne
bianca. Nel 2007 è stato
portato a termine il
restauro della Grotta, che
ne ha ripulito le pareti e
restituito la luce
originaria. La nuova
chiesa costruita sopra
l'antica Grotta è opera
degli architetti Luigi
Leoni e Chiara Rovati,
lavoro realizzato grazie
al sostegno di fedeli
slovacchi ed italiani.
La
Grotta del Latte è
affiancata dal monastero
affidato alle Adoratrici
Perpetue del Santissimo
Sacramento. Un corridoio
interno collega la Grotta
con la Cappella del SS.
Sacramento e con la chiesa
superiore: l'Adorazione
Eucaristica continua tutto
il giorno ed è possibile
per tutti i pellegrini
sostarvi in silenziosa
preghiera.

Sino
dal Vi sec. si
conoscevano, in Europa ed
in Oriente, reliquie
provenienti da questa
grotta: pezzetti di roccia
polverizzata e compressa
in formette, tipo di
confezione che restò poi
in uso fino all’inizio
del nostro secolo.
I più
antichi esemplari
conosciuti sono due: ed
uno ricevuto da Carlo
Magno, dopo l’800, e
posto in una chiesa della
Piccardia. Il vescovo
Ascetino portò una di
queste reliquie al campo
di Baldovino III durante
l’assedio di Ascalon del
1123.
La
roccia aveva assunto
proprietà curative, in
particolare aveva il
potere di far venire il
latte alle madri che ne
fossero prive. Il primo a
notare la credenza
popolare fu Perdicca di
Efeso (1250): da quel
momento la diffusione
delle reliquie divenne
enorme. A poco a poco
causa l’asportazione
della roccia, la grotta
perse il suo aspetto
primitivo e i due vani
laterali vennero
ingranditi.
A
parte alcune testimonianze
molto antiche, la prima
delle quali risale al VI
sec., sappiamo per certo
che la grotta era venerata
già prima dell’arrivo
dei Crociati (Daniele –
1106). Dopo le Crociate,
una comunità religiosa
tenne desto lo speciale
culto mariano fino al
1349-1353, epoca in cui i
Musulmani danneggiarono
gravemente monastero e
chiesa.
I
Francescani rimisero in
onore il Santuario e il
luogo di culto a esso
collegato. Il loro
progetto di fabbricare
sopra e dintorno la
grotta, una chiesa, un
convento, un campanile con
campane e un cimitero,
come risulta dalla Bolla
Inter Cunctos di Gregorio
XI, spedita da Avignone il
25 novembre 1375
(Bullarium Franciscanum,
Roma 1902), rimase per il
lungo tempo inattuato.
Soltanto nel 1494 essi
poterono compiere dei
restauri e rinnovare
l’altare.
Nel XVI sec.
un terremoto fece cadere
anche i muri principali
degli edifici che erano in
condizioni quasi buone, e
la grotta restò pressochè
sepolta sotto le rovine.
L’ostilità
dei greci ortodossi e
l’incredibile burocrazia
ottomana, che non voleva
riconoscere i documenti
comprovanti i diritti dei
Latini perché erano
“troppo antichi”,
ostacolarono tutte le
iniziative: soltanto nel
1871 i Frati Minori
poterono costruire
l’ospizio e l’oratorio
che oggi vediamo.
Il
Santuario è sempre molto
venerato e la credenza
popolare non si è mai
spenta: tuttora, dopo 16
secoli, le donne indigene,
sia cristiane che
maomettane, pregano qui la
Vergine Maria per ottenere
latte abbondante per le
loro creature.
Gli
abitanti del posto hanno
espresso la loro devozione
ornando la cappella con
lavoro di madreperla. La
facciatina, dono di Arabi
cristiani, è un bel
lavoro di artigiani locali
(1935), che hanno trattato
la pietra come madreperla.
Notevole è anche
l’archetto a metà della
scala interna, aggraziato
dall’alternarsi di
pietre bianche e rosse.
Ricerche archeologiche
effettuate nella zona
hanno portato alla luce
tombe bizantine e
crociate, testimonianza
del culto locale.
Salendo
sopra la grotta a destra
si possono vedere i resti
di mosaici con croci
risalenti al V sec. che
fanno ipotizzare la
presenza di una chiesa.
Inoltre si ipotizza che
questa zona fosse al tempo
di Gesù una zona abitata,
che il villaggio fosse da
questa parte.

La
casa di San Giuseppe - Proseguendo
lungo la stessa strada -
ai lati della quale
esistono vari cimiteri
cristiani moderni che
appartengono ai vari riti
- dopo un breve tratto si
incontra sulla destra una
cappella: è la “casa di
S. Giuseppe”. Nato il
Bambino, la Sacra Famiglia
si trattenne qualche tempo
a Betlemme, dove ebbe
luogo la circoncisione.
Trascorso il periodo
prestabilito dalla legge
mosaica, la Madonna e S.
Giuseppe, con il Bambino,
salirono a Gerusalemme per
i riti della Purificazione
(Luca 2, 22); anche i Magi
trovarono Gesù in una
casa (Mt 2, 11).
Che
la Sacra Famiglia abbia
vissuto a Betlemme, dopo
la nascita di Gesù, è un
fatto attestato dal
Vangelo; che abbia trovato
alloggio proprio in questa
zona, è verosimile. Il
passaggio dalla grotta
alla casa non è una
contraddizione: S.
Giuseppe proveniva da
Betlemme e poteva avere
qui parenti e amici che
venuti a conoscenza della
sua povertà, si
dimostrarono generosi e lo
aiutarono. Già nel Medio
Evo si è tentato di
localizzare una specifica
memoria di S. Giuseppe a
Betlemme. Le ricerche si
sono sempre svolte nella
zona est, tra la grotta
del Latte e il campo dei
Pastori, probabilmente a
seguito di una antica
tradizione locale.
La
fissazione avverrà alla
metà del XIV sec., stando
alle testimonianze di due
pellegrini fiorentini,
Giorgio Gucci e Lionardo
Frescobaldi. Da questa
tempo in poi la locazione
resta immutata. La
cappella moderna (1890)
posa, oltre che sulla
roccia, anche su muri di
costruzioni precedenti,
ricordati da molti
pellegrini. Oggi si vede
ancora, ai piedi
dell’abside, un tratto
di roccia mentre dietro
l’altare si alza un
masso, forse parte
dell’altare primitivo.
La “casa di San
Giuseppe” è stata
ricordata su questa
cappella, grazie al
lascito di Ernestina
Audebert. Il 20 marzo 1893
la chiesetta fu benedetta
solennemente dal Padre
Custode di Terra Santa p.
Giacomo Ghezzi.

Hortus
Conclusus - Poco
piu’ a sud di Betlemme,
vicino alle Vasche di
Salomone si trova il
villaggio di Artas (o
Urtas), uno dei villaggi
piu’ noti in
Cisgiordania. Il nome
Artas deriva dal hortus,
il latino ‘giardino’,
perche’ si crede che
fosse il sito del famoso
‘hortus conclusus’, il
Cantico erotico di
Salomone o Cantico dei
Cantici: “Giardino
chiuso tu sei, sorella
mia, sposa, giardino
chiuso, fontana sigillata.
I
tuoi campi il paradiso
delle delizie”. Grazie
alla vicinanza con
Gerusalemme e grazie ai
suoi scenari e alla sua
rilevanza storica, gli
Europei nel 19° secolo
andavano ad Artas durante
l’estate.
Furono
proprio gli Europei a
re-introdurre
l’orticultura nella
vallata. Nel 1894
l’Ordine Italiano delle
Sorelle di Maria del
Giardino, fece costruire
il Convento "Hortus
Conclusus".
Cisterne
di David e Vasche di
Salomone - Uscendo da
Betlemme, di fronte alla
chiesa sirocattolica
troviamo tre grandi
cisterne, tuttora in uso,
scavate nella roccia: sono
le cisterne di David, in
arabo Biar Daud. La Bibbia
ne parla in 2Sam 23,
15-17:"Davide
espresse un desiderio e
disse: «Se qualcuno mi
desse da bere l'acqua del
pozzo che è vicino alla
porta di Betlemme!».
I
tre prodi si aprirono un
varco attraverso il campo
filisteo, attinsero
l'acqua dal pozzo di
Betlemme, vicino alla
porta, la presero e la
presentarono a Davide; il
quale però non ne volle
bere, ma la sparse davanti
al Signore, dicendo: «Lungi
da me, Signore, il fare
tal cosa! E' il sangue di
questi uomini, che sono
andati là a rischio della
loro vita!». Non la volle
bere. Questo fecero quei
tre prodi."
Oltre
alle cisterne si trovano
qui anche i resti di una
chiesa e di un cimitero
sotterraneo. Della chiesa
(IV-VI sec) si rinvenne
nel 1895 parte del
pavimento musivo, che
recava una iscrizione con
i versetti 19 e 20 del
Salmo 117: “Apritemi le
porte della giustizia,
voglio entrarvi per
ringraziare il Signore.
Questa è la porta del
Signore, per essa entrano
i giusti”.
Il
mosaico attualmente è
interrato sotto un campo
coltivato e ogni studio
risulta impossibile. Al
momento del ritrovamento
si ritenne di aver
reperito il mausoleo di
David, le cui traccie
erano andate perse fin dal
VI sec. Per quanto non
esistano prove
archeologiche, pare che il
sepolcro di David debba
essere invece localizzato
sul Monte Sion. Sotto la
chiesa si trova il
cimitero sotterraneo,
formato da gallerie con 18
arcosoli, contenenti
ciascuno da 2 a 6 fosse
sepolcrali.
Nel
1962 la Custodia di Terra
Santa fece eseguire dei
lavori (Fra Michelangelo
Tizzani), durante i quali
le catacombe e gli
archisoli furono
restaurati. Gli scavi
portano alla luce molti
pezzi di ceramica (IV
sec.) e iscrizioni
parietali (IV-VI sec.). Il
graffito più
significativo è un
monogramma costantiniano
(IV sec.), inciso nella
roccia all’inizio del
cimitero, graffito che
afferma la cristianità
del sepolcreto.
La
fortezza di qala’at
al-burak in Betlemme è
ritenuta di origini turche
ma verosimilmente la
struttura è molto più
antica. Il castello doveva
essere posto a guardia
delle cosiddette Piscine
di Salomone a Betlemme
sulla strada che porta a
Artas. Le tre vasche
costituirono una delle
principali risorse idriche
per Gerusalemme, tramite
un acquedotto che arrivava
fino al Tempio. Esistevano
certamente al tempo di
Erode ma sono forse più
antiche di circa due
secoli.
Le
vasche sono
approssimativamente
rettangolari e poste in
fila dal fortino in
direzione ovest-est; sul
lato nord-est un corridoio
porta al vano nel quale
scaturisce una sorgente
mentre tutt’intorno
restano numerose tracce di
canalizzazioni che
raccoglievano acque
superficiali dalle colline
vicine. Una conduttura di
epoca incerta conduce
all’acquedotto
superiore; il canale
scompare in corrispondenza
di una galleria segnalata
a terra da una serie di
nove pozzi.
All’uscita
della galleria il condotto
prosegue verso il wadi
bijar (valle dei pozzi)
scomparendo in una nuova
galleria segnalata in
superficie da una trentina
di pozzi ancora usati dai
contadini. Si tratta di un
raffinato sistema
idraulico destinato a
raccogliere acqua
supplementare dalle falde
acquifere riproducendo un
sistema a
"qanat". Resti
dell’acquedotto
inferiore sopravvivono
verso le rovine
dell’edificio bizantino
definito deir al-banat
(convento delle ragazze).

Tomba
di Rachele - Posta
immediatamente a nord del
bivio per Hebron troviamo
la tomba di Rachele,
Qubbet Rahil. “Rachele
dunque morì e fu sepolta
sulla strada di Efrata,
cioè Betlemme. E Giacobbe
eresse una stele sulla sua
tomba. E’ la stele della
tomba di Rachele che
esiste ancor oggi” (Gen
35, 19-20).
Le
prime testimonianze
parlano di un monumento
formato da una semplice
piramide, che ricordava le
nefes dei sepolcri
ebraici. Vennero poi
aggiunte dodici pietre
(1165), in memoria dei 12
figli di Giacobbe, ma
alcune cronache parlano di
undici pietre soltanto:
sarebbe mancata nel novero
quella di Beniamino.
All’epoca bizantina, e
probabilmente anche in
seguito, la tomba di
Rachele dev’essere stata
trasformata in luogo di
culto cristiano, come si
deduce dal Lezionario di
Gerusalemme del V-VIII
sec., che vi pone due
commemorazioni liturgiche
ufficiali all’anno (20
febbraio e 18 luglio).
Il
Calendario Georgiano
Palestinese (secondo il
Codice Sinaitico 34 del X
sec.) parla esplicitamente
di una ‘chiesa di
Rachele’, riferendosi
alle medesime
commemorazioni. Nel XIV
sec. la tomba fu abbellita
e un sarcofago alto e con
la parte superiore
convessa, fu aggiunto alle
pietre. P. Amico ci ha
lasciato un disegno in cui
si vede il cenotafio nel
centro di una cappella.
Nei quattro muri
perimetrali si aprivano
quattro arcate. Le arcate
furono chiuse nel 1560 da
Maometto, pascià di
Gerusalemme, il quale,
inoltre, sostituì la
piramide con una cupola.
Nel
XIX sec. Moses Montefiore
fece aggiungere due vani
al primitivo ingresso
quadrato, dando così alla
tomba l’aspetto che è
tuttora mantenuto. In
effetti, più che di una
tomba si dovrebbe parlare
di ueli, monumento funebre
musulmano eretto a ricordo
di un santone o di un
personaggio significativo.
Sebbene Ebrei, Cristiani e
Mussulmani venerino qui la
memoria di Rachele, molti
dubbi vengono sollevati
circa la autenticità del
luogo. Oggi la Tomba si
trova proprio nelle
vicinanze del muro di
divisione dei territori
israeliani da quelli
palestinesi ed è
visitabile solo attraverso
dei permessi.

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Fonte:
http://www.betlemme.custodia.org/
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