Luogo della nascita di Gesù: la Basilica della Natività 
e la Via del Pellegrinaggio, Betlemme
Palestina
  
   
PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 2012

    

Santuari minori

Il campo dei Pastori - Ad est di Betlemme, a circa 2 km dal centro abitato, si trova il villaggio di Beit Sahur, la casa dei “guardiani”, di coloro che vigilano, dove si incontra il Campo dei Pastori. Il Santuario è raggiungibile anche a piedi, proseguendo per la strada della Grotta del Latte.

Già al tempo di S. Elena si trovava qui una chiesa dedicata agli Angeli che avevano annunciato ai pastori la nascita del Redentore. Dopo alterne e combattute vicende, vennero costruite, nel secolo scorso, una canonica e una scuola, in attesa di poter avere anche una chiesa. Nel frattempo, il culto, prima tenuto in una grotta chiamata "Mihwara", si svolgeva in ambienti provvisori della casa parrocchiale. 

Infine, nel 1950, fu inaugurata la chiesa che oggi vediamo, opera dell'architetto Antonio Barluzzi, dedicata alla Madonna di Fatima e a S. Teresa di Lisieux. Alla edificazione contribuirono non poco gli abitanti del luogo, eredi della generosità di Booz, il personaggio maschile del Libro di Rut.

L'elegante portico della chiesa ha tre archi a sesto acuto e la facciata è coronata in alto da uno snello motivo di archetti, che si prolunga sui muri laterali. L'interno è diviso in tre navate da due file di quattro colonne ciascuna. I fusti delle colonne, di pietra rosa locale, a prima vista un po' tozzi, sono resi affusolati mediante un semplice espediente ottico: i tamburi che li compongono hanno, dalla base al capitello, altezza decrescente.

Gli archi a sesto acuto, molto stretti, creano l'illusione che l'interno sia più lungo del vero. Molto originali sono i capitelli, massicci ma non pesanti. Particolarmente degno di nota è l'altar maggiore, vero gioiello dell'arte scultorea palestinese, che, malgrado le dimensioni, più che una scultura in pietra sembra una miniatura di avorio. Tra il paliotto (parte frontale e lati) e il gradino, abbiamo 15 scene, dall'Annunciazione della Vergine, all'arrivo in Egitto della Sacra Famiglia.

Nella parte centrale del gradino, all'altezza del tabernacolo, si vedono le 4 statuine degli Evangelisti mentre nella parte superiore i dodici Apostoli circondano la figura del Cristo. Autori dell'opera furono Issa Zmeir, betlemita, e Abdullah Haron, betsahurino. 

Beit Sahur si stende in mezzo ai così detti 'campi di Booz'; in uno di questi si trovavano i pastori nella notte gloriosa della Natività. L'angelo disse loro: Non temete! Ecco, vi porto una lieta novella che sarà di grande gioia per tutto il popolo: Oggi nella città di Davide è nato un salvatore che è il Cristo Signore" (Luca 2, 10-11). Sebbene le parole del Vangelo non permettano di stabilire esattamente il luogo dell'apparizione angelica, pure l'antica tradizione lo ha fissato in località Siyar el-Ghanam, il Campo dei Pastori, poco discosto da Beit Sahur.

Gli scavi effettuati da P. Virgilio Corbo, ofm, nel 1951-52 hanno sondato le rovine più a fondo dei precedenti (C. Guarmani, 1859), dando a queste una datazione precisa. Le tracce di vita nelle grotte, risalenti ai periodi erodiano e romano, i resti di frantoi antichissimi, reperiti sotto le fondamenta di due monasteri, dimostrano senza possibilità di dubbio, che il luogo era abitato all'epoca della nascita di Gesù a Betlemme.

Lo studioso ha avuto sottomano materiale sufficiente per poter parlare di una piccola comunità agricola. Inoltre, a Siyar el-Ghanam esistono i resti di una torre di guardia, ora incorporati nell'ospizio francescano. Morta Rachele, Giacobbe "partì e rizzò le tende al di là di Migdal-Eder" (Gen 35, 21), al di là della 'torre del gregge'. I Targumin localizzarono questa torre a est di Betlemme, specificando che in quel luogo il Messia sarebbe stato annunciato. La tradizione talmudica indicava la stessa regione e la tradizione cristiana, dopo la nascita di nostro Signore, accettò e mantenne la localizzazione.

S. Girolamo vede la torre a "circa mille passi (romani) da Betlemme", e aggiunge che là gli angeli avevano annunciato ai pastori la nascita del Redentore. Quanto rimane dell'insediamento agricolo e della torre di guardia spiega molto bene una espressione del testo originale greco di Luca. Secondo i più qualificati esegeti (tra cui M. J. Lagrange), il verbo impiegato da Luca non significa che i pastori "passavano la notte all'aperto", bensì che "vivevano nella campagna".

Gli scavi hanno rintracciato l'esistenza di due monasteri, uno del IV-V sec., l'altro del VI sec. Del primo abbiamo le fondazioni dell'abside della chiesa e di vari muri. Nel VI sec. la chiesa venne demolita e ricostruita nello stesso posto, con l'abside leggermente spostata verso est. Del secondo monastero abbiamo egualmente parti dell'abside sui muri di numerosi ambienti.

P. Corbo ebbe la netta sensazione che molte pietre del IV sec., riusate nell'abside della chiesa del VI sec., provengano dalla basilica costantiniana della Natività. Il luogo dove si trovano i monasteri non è il più felice della zona, dato che è in pendenza. Il fatto che la seconda chiesa sia stata edificata esattamente sopra la prima conferma ulteriormente che un particolare ricordo era collegato al luogo. 

Il monastero del VI sec. fu distrutto verso l'VIII sec. dai Musulmani, che cercarono perfino di cancellare i segni cristiani scalpellando e abradendo le pietre sulle quali si trovavano. Tra i vani del secondo monastero ne sono stati identificati alcuni, adibiti a scopi particolari: portineria, panetteria con grande macina di basalto, refettorio, frantoi, grotta-cantina, stalla. Sono stati portati alla luce anche il sistema di canalizzazione e diverse cisterne. Il Santuario attuale fu costruito nel 1953-54 su progetto dell'arch. Antonio Barluzzi. Sia la posa della prima pietra che l'inaugurazione ebbero luogo il giorno di Natale.

Il Santuario sorge sul roccione che domina le rovine. Esso rappresenta un accampamento di pastori: un poligono a dieci lati, cinque dritti e cinque sporgenti e inclinati verso il centro, a forma di tenda. La luce, che penetra generosamente dalla cupola in vetrocemento, inonda l'interno richiamando alla mente la luce vivissima che apparve ai pastori. L'altorilievo in bronzo, sull'architrave della porta, è dello scultore D. Cambellotti, che ha creato anche il portale, le quattro statue di bronzo che reggono l'altar maggiore, posto al centro della cappella, i candelieri e le croci. L'architetto U. Noni ha affrescato le tre absidi e lo scultore A. Minghetti ha curato l'esecuzione dei 10 angeli di stucco della cupola.

La Grotta del Latte - Dalla parte orientale del colle nel quale si erge la Basilica della Natività, si trova la Grotta del Latte, detta in arabo "Magharet Sitti Mariam", la grotta della Signora Maria. Il luogo è raggiungibile percorrendo una stradina che prosegue lungo il lato sud della Basilica (Tarik Magharet el Halib, via della Grotta del Latte) che parte dalla piazza centrale di Betlemme. Secondo una leggenda del VI sec., la Madonna si nascose qui durante la strage degli Innocenti, allontanandosi dalla mangiatoia, dove aveva messo al riparo il Bambino, dai persecutori mandati da Erode. Questa leggenda scomparve presto e fu sostituita da un’altra.

S. Giuseppe, avvertito da un angelo del pericolo che incombeva sul Bambino e della necessità di trasferirsi in Egitto, si mise subito a fare i preparativi per il viaggio e sollecitò la vergine che stava allattando. Alcune gocce, nella fretta, caddero a terra e la roccia da rosa divenne bianca. Nel 2007 è stato portato a termine il restauro della Grotta, che ne ha ripulito le pareti e restituito la luce originaria. La nuova chiesa costruita sopra l'antica Grotta è opera degli architetti Luigi Leoni e Chiara Rovati, lavoro realizzato grazie al sostegno di fedeli slovacchi ed italiani.

La Grotta del Latte è affiancata dal monastero affidato alle Adoratrici Perpetue del Santissimo Sacramento. Un corridoio interno collega la Grotta con la Cappella del SS. Sacramento e con la chiesa superiore: l'Adorazione Eucaristica continua tutto il giorno ed è possibile per tutti i pellegrini sostarvi in silenziosa preghiera.

Sino dal Vi sec. si conoscevano, in Europa ed in Oriente, reliquie provenienti da questa grotta: pezzetti di roccia polverizzata e compressa in formette, tipo di confezione che restò poi in uso fino all’inizio del nostro secolo. 

I più antichi esemplari conosciuti sono due: ed uno ricevuto da Carlo Magno, dopo l’800, e posto in una chiesa della Piccardia. Il vescovo Ascetino portò una di queste reliquie al campo di Baldovino III durante l’assedio di Ascalon del 1123.

La roccia aveva assunto proprietà curative, in particolare aveva il potere di far venire il latte alle madri che ne fossero prive. Il primo a notare la credenza popolare fu Perdicca di Efeso (1250): da quel momento la diffusione delle reliquie divenne enorme. A poco a poco causa l’asportazione della roccia, la grotta perse il suo aspetto primitivo e i due vani laterali vennero ingranditi. 

A parte alcune testimonianze molto antiche, la prima delle quali risale al VI sec., sappiamo per certo che la grotta era venerata già prima dell’arrivo dei Crociati (Daniele – 1106). Dopo le Crociate, una comunità religiosa tenne desto lo speciale culto mariano fino al 1349-1353, epoca in cui i Musulmani danneggiarono gravemente monastero e chiesa.

I Francescani rimisero in onore il Santuario e il luogo di culto a esso collegato. Il loro progetto di fabbricare sopra e dintorno la grotta, una chiesa, un convento, un campanile con campane e un cimitero, come risulta dalla Bolla Inter Cunctos di Gregorio XI, spedita da Avignone il 25 novembre 1375 (Bullarium Franciscanum, Roma 1902), rimase per il lungo tempo inattuato. Soltanto nel 1494 essi poterono compiere dei restauri e rinnovare l’altare. 

Nel XVI sec. un terremoto fece cadere anche i muri principali degli edifici che erano in condizioni quasi buone, e la grotta restò pressochè sepolta sotto le rovine.

L’ostilità dei greci ortodossi e l’incredibile burocrazia ottomana, che non voleva riconoscere i documenti comprovanti i diritti dei Latini perché erano “troppo antichi”, ostacolarono tutte le iniziative: soltanto nel 1871 i Frati Minori poterono costruire l’ospizio e l’oratorio che oggi vediamo.

Il Santuario è sempre molto venerato e la credenza popolare non si è mai spenta: tuttora, dopo 16 secoli, le donne indigene, sia cristiane che maomettane, pregano qui la Vergine Maria per ottenere latte abbondante per le loro creature.

Gli abitanti del posto hanno espresso la loro devozione ornando la cappella con lavoro di madreperla. La facciatina, dono di Arabi cristiani, è un bel lavoro di artigiani locali (1935), che hanno trattato la pietra come madreperla. Notevole è anche l’archetto a metà della scala interna, aggraziato dall’alternarsi di pietre bianche e rosse. Ricerche archeologiche effettuate nella zona hanno portato alla luce tombe bizantine e crociate, testimonianza del culto locale.

Salendo sopra la grotta a destra si possono vedere i resti di mosaici con croci risalenti al V sec. che fanno ipotizzare la presenza di una chiesa. Inoltre si ipotizza che questa zona fosse al tempo di Gesù una zona abitata, che il villaggio fosse da questa parte.

La casa di San Giuseppe - Proseguendo lungo la stessa strada - ai lati della quale esistono vari cimiteri cristiani moderni che appartengono ai vari riti - dopo un breve tratto si incontra sulla destra una cappella: è la “casa di S. Giuseppe”. Nato il Bambino, la Sacra Famiglia si trattenne qualche tempo a Betlemme, dove ebbe luogo la circoncisione. Trascorso il periodo prestabilito dalla legge mosaica, la Madonna e S. Giuseppe, con il Bambino, salirono a Gerusalemme per i riti della Purificazione (Luca 2, 22); anche i Magi trovarono Gesù in una casa (Mt 2, 11).

Che la Sacra Famiglia abbia vissuto a Betlemme, dopo la nascita di Gesù, è un fatto attestato dal Vangelo; che abbia trovato alloggio proprio in questa zona, è verosimile. Il passaggio dalla grotta alla casa non è una contraddizione: S. Giuseppe proveniva da Betlemme e poteva avere qui parenti e amici che venuti a conoscenza della sua povertà, si dimostrarono generosi e lo aiutarono. Già nel Medio Evo si è tentato di localizzare una specifica memoria di S. Giuseppe a Betlemme. Le ricerche si sono sempre svolte nella zona est, tra la grotta del Latte e il campo dei Pastori, probabilmente a seguito di una antica tradizione locale.

La fissazione avverrà alla metà del XIV sec., stando alle testimonianze di due pellegrini fiorentini, Giorgio Gucci e Lionardo Frescobaldi. Da questa tempo in poi la locazione resta immutata. La cappella moderna (1890) posa, oltre che sulla roccia, anche su muri di costruzioni precedenti, ricordati da molti pellegrini. Oggi si vede ancora, ai piedi dell’abside, un tratto di roccia mentre dietro l’altare si alza un masso, forse parte dell’altare primitivo. La “casa di San Giuseppe” è stata ricordata su questa cappella, grazie al lascito di Ernestina Audebert. Il 20 marzo 1893 la chiesetta fu benedetta solennemente dal Padre Custode di Terra Santa p. Giacomo Ghezzi.

Hortus Conclusus - Poco piu’ a sud di Betlemme, vicino alle Vasche di Salomone si trova il villaggio di Artas (o Urtas), uno dei villaggi piu’ noti in Cisgiordania. Il nome Artas deriva dal hortus, il latino ‘giardino’, perche’ si crede che fosse il sito del famoso ‘hortus conclusus’, il Cantico erotico di Salomone o Cantico dei Cantici: “Giardino chiuso tu sei, sorella mia, sposa, giardino chiuso, fontana sigillata.

I tuoi campi il paradiso delle delizie”. Grazie alla vicinanza con Gerusalemme e grazie ai suoi scenari e alla sua rilevanza storica, gli Europei nel 19° secolo andavano ad Artas durante l’estate. 

Furono proprio gli Europei a re-introdurre l’orticultura nella vallata. Nel 1894 l’Ordine Italiano delle Sorelle di Maria del Giardino, fece costruire il Convento "Hortus Conclusus".

Cisterne di David e Vasche di Salomone - Uscendo da Betlemme, di fronte alla chiesa sirocattolica troviamo tre grandi cisterne, tuttora in uso, scavate nella roccia: sono le cisterne di David, in arabo Biar Daud. La Bibbia ne parla in 2Sam 23, 15-17:"Davide espresse un desiderio e disse: «Se qualcuno mi desse da bere l'acqua del pozzo che è vicino alla porta di Betlemme!». 

I tre prodi si aprirono un varco attraverso il campo filisteo, attinsero l'acqua dal pozzo di Betlemme, vicino alla porta, la presero e la presentarono a Davide; il quale però non ne volle bere, ma la sparse davanti al Signore, dicendo: «Lungi da me, Signore, il fare tal cosa! E' il sangue di questi uomini, che sono andati là a rischio della loro vita!». Non la volle bere. Questo fecero quei tre prodi."

Oltre alle cisterne si trovano qui anche i resti di una chiesa e di un cimitero sotterraneo. Della chiesa (IV-VI sec) si rinvenne nel 1895 parte del pavimento musivo, che recava una iscrizione con i versetti 19 e 20 del Salmo 117: “Apritemi le porte della giustizia, voglio entrarvi per ringraziare il Signore. Questa è la porta del Signore, per essa entrano i giusti”. 

Il mosaico attualmente è interrato sotto un campo coltivato e ogni studio risulta impossibile. Al momento del ritrovamento si ritenne di aver reperito il mausoleo di David, le cui traccie erano andate perse fin dal VI sec. Per quanto non esistano prove archeologiche, pare che il sepolcro di David debba essere invece localizzato sul Monte Sion. Sotto la chiesa si trova il cimitero sotterraneo, formato da gallerie con 18 arcosoli, contenenti ciascuno da 2 a 6 fosse sepolcrali. 

Nel 1962 la Custodia di Terra Santa fece eseguire dei lavori (Fra Michelangelo Tizzani), durante i quali le catacombe e gli archisoli furono restaurati. Gli scavi portano alla luce molti pezzi di ceramica (IV sec.) e iscrizioni parietali (IV-VI sec.). Il graffito più significativo è un monogramma costantiniano (IV sec.), inciso nella roccia all’inizio del cimitero, graffito che afferma la cristianità del sepolcreto.

La fortezza di qala’at al-burak in Betlemme è ritenuta di origini turche ma verosimilmente la struttura è molto più antica. Il castello doveva essere posto a guardia delle cosiddette Piscine di Salomone a Betlemme sulla strada che porta a Artas. Le tre vasche costituirono una delle principali risorse idriche per Gerusalemme, tramite un acquedotto che arrivava fino al Tempio. Esistevano certamente al tempo di Erode ma sono forse più antiche di circa due secoli.

Le vasche sono approssimativamente rettangolari e poste in fila dal fortino in direzione ovest-est; sul lato nord-est un corridoio porta al vano nel quale scaturisce una sorgente mentre tutt’intorno restano numerose tracce di canalizzazioni che raccoglievano acque superficiali dalle colline vicine. Una conduttura di epoca incerta conduce all’acquedotto superiore; il canale scompare in corrispondenza di una galleria segnalata a terra da una serie di nove pozzi.

All’uscita della galleria il condotto prosegue verso il wadi bijar (valle dei pozzi) scomparendo in una nuova galleria segnalata in superficie da una trentina di pozzi ancora usati dai contadini. Si tratta di un raffinato sistema idraulico destinato a raccogliere acqua supplementare dalle falde acquifere riproducendo un sistema a "qanat". Resti dell’acquedotto inferiore sopravvivono verso le rovine dell’edificio bizantino definito deir al-banat (convento delle ragazze).

Tomba di Rachele - Posta immediatamente a nord del bivio per Hebron troviamo la tomba di Rachele, Qubbet Rahil. “Rachele dunque morì e fu sepolta sulla strada di Efrata, cioè Betlemme. E Giacobbe eresse una stele sulla sua tomba. E’ la stele della tomba di Rachele che esiste ancor oggi” (Gen 35, 19-20).

Le prime testimonianze parlano di un monumento formato da una semplice piramide, che ricordava le nefes dei sepolcri ebraici. Vennero poi aggiunte dodici pietre (1165), in memoria dei 12 figli di Giacobbe, ma alcune cronache parlano di undici pietre soltanto: sarebbe mancata nel novero quella di Beniamino. All’epoca bizantina, e probabilmente anche in seguito, la tomba di Rachele dev’essere stata trasformata in luogo di culto cristiano, come si deduce dal Lezionario di Gerusalemme del V-VIII sec., che vi pone due commemorazioni liturgiche ufficiali all’anno (20 febbraio e 18 luglio).

Il Calendario Georgiano Palestinese (secondo il Codice Sinaitico 34 del X sec.) parla esplicitamente di una ‘chiesa di Rachele’, riferendosi alle medesime commemorazioni. Nel XIV sec. la tomba fu abbellita e un sarcofago alto e con la parte superiore convessa, fu aggiunto alle pietre. P. Amico ci ha lasciato un disegno in cui si vede il cenotafio nel centro di una cappella. Nei quattro muri perimetrali si aprivano quattro arcate. Le arcate furono chiuse nel 1560 da Maometto, pascià di Gerusalemme, il quale, inoltre, sostituì la piramide con una cupola.

Nel XIX sec. Moses Montefiore fece aggiungere due vani al primitivo ingresso quadrato, dando così alla tomba l’aspetto che è tuttora mantenuto. In effetti, più che di una tomba si dovrebbe parlare di ueli, monumento funebre musulmano eretto a ricordo di un santone o di un personaggio significativo. Sebbene Ebrei, Cristiani e Mussulmani venerino qui la memoria di Rachele, molti dubbi vengono sollevati circa la autenticità del luogo. Oggi la Tomba si trova proprio nelle vicinanze del muro di divisione dei territori israeliani da quelli palestinesi ed è visitabile solo attraverso dei permessi.

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Fonte:  http://www.betlemme.custodia.org/