Si
vede già da lontano, bagnata dal mare e costruita sulla sabbia. “Non se
ne farà niente” sembra abbia mormorato Winston Churchill fumando il suo
sigaro. Allora era l’osservatore inglese mandato dalla regione, quando
gli architetti si misero al lavoro per costruire una nuova città. Sabbia,
nient’altro che sabbia fino all’orizzonte, un tratto vergine di costa
mediterranea a nord di Jaffa, la città portuale della nuova Palestina.
Sul terreno sabbioso della costa, Sir Patrick Geddes intende progettare
una città immersa nel verde, secondo il modello europeo, con belle ville
e viali eleganti. Il giovane paese, in seguito chiamato Israele, ha
bisogno di spazio per le migliaia di emigranti che cercano una nuova
patria. La stabilità del terreno sabbioso si ricava costruendo edifici su
pilastri di legno, facendoli poi assorbire dalla natura.
Prima
di tutto si piazzano migliaia di alberi per stabilizzare il terreno e dove
un tempo si estendevano dune di sabbia, oggi sorge una città. Tel Aviv,
una città movimentata, fondata nel 1909, una città giovane eppure già
raggiunta dalla sua leggendaria architettura. Tel Aviv, in nessuna altra
città del mondo viene attuata così radicalmente l’idea della
modernità nell’architettura. Alcuni dei suoi edifici modello come
l’ondulata casa Home Recanati del 1935, oggi passano in secondo piano
nel volto contemporaneo della città. E proprio accanto, ingiallita dal
tempo, la Via degli angeli, dove comincia buona parte della storia.
Lo
scopo primario degli edifici è la funzionalità, le case seguono con
naturalezza le curve degli angoli, sulle facciate si affacciano balconi e
terrazze come alte torri. Soltanto a Tel Aviv esiste la realizzazione
della scuola del Bauhaus, nello spirito dell’avanguardia degli anni 30.
Qui si costruisce secondo lo stile moderno, lontano dal pesante stoicismo
europeo e anche dalle ghirlande dello Jugendstill.
La
nuova città di Tel Aviv, letteralmente La collina della primavera, nome
tratto dall’utopistico romanzo dello scrittore ebraico Theodor
Herzl, intitolato Terra Nuova, inondata di luce, concepita su
misura secondo l’architettura del XX secolo. Nulla è superfluo, ogni
cosa ha il suo ordine prestabilito, gli spazi respirano e lasciano posto
agli uomini.

Tra
il 1931 e il 1934 a Tel Aviv nascono 4000 edifici, secondo lo stile della
concezione Bauhaus, rendendo la città il complesso architettonico più
grande del mondo realizzato in questo stile. Tenendo conto delle
condizioni climatiche della Palestina, soprattutto del caldo e dell’alta
concentrazione del sole, l’architettura Bauhaus si adegua perfezionando
un sistema di ombreggiatura creando uno stile architettonico che rende Tel
Aviv unica e inimitabile. Tutti i balconi sono forniti di una specie di
protezione a lamelle per il sole e le finestre sono piccole.
Giovani
architetti come Dov Karmi e Richard Kauffmann arrivano in Palestina dopo
aver compiuto i loro studi in Europa e danno un volto alla città di Tel
Aviv. Sono 200 i nomi degli architetti che nel volgere di pochi anni dal
nulla creano la favolosa immagine di Tel Aviv.
Molti
architetti studiano nella leggendaria università Bauhaus fino a che sono
costretti a fuggire dal regime nazista. Nel 1933 la stessa Bauhaus viene
chiusa, l’avanguardia europea cade vittima del fascismo. L’architetto
Ariel Sharon giunge nel 1932 in Palestina direttamente da Dessau, è uomo
impegnato in politica, orientato sulle riforme sociali, per il partito del
lavoratori costruisce nel centro di Tel Aviv case destinate all’edilizia
popolare in stile Bauhaus.
A
Tel Aviv il concetto di grandi edifici abitativi è influenzato
soprattutto dall’architetto avanguardista Le Corbusier, uno dei maestri
del Bauhaus e uno fra i più influenti innovatori dell’architettura del
XX secolo. La nuova generazione di architetti, a Tel Aviv interpreta la
lingua dei suoi maestri nella maniera più pura, adeguata alle condizioni
del medio oriente, in un gioco di luci e ombre. E’ un segno distintivo
anche di Zeev Rechter che caratterizza la storia di Israele dal punto di
vista architettonico e da vita al viale Rothschild. Un ambiente
pittoresco, da sogno, dal carattere fortemente europeo, un paesaggio
urbano che si estende su dune sabbiose. Ville in stile Bauhaus con tutti
gli elementi caratteristici, le linee definite e il dialogo con la natura
che comprende gli aspetti tipici di Tel Aviv, schermi protettivi per il
sole e facciate asimmetriche.
Il
tempo ha corroso le facciate, ha disegnato rughe sulla liscia bellezza, lo
speciale intonaco smerigliato o liscio mischiato alla polvere di
conchiglia, polvere di basalto o pietruzze di vetro, riesce a contrastare
anche se in misura limitata l’azione aggressiva del clima marittimo. In
effetti solo pochi degli edifici Bauhaus sono ancora di colore bianco o
pastello.
Eppure
la straordinaria relazione creata con l’abbagliante luce di Tel Aviv
rende unica questa architettura. Le prospettive che vengono a crearsi
dagli angoli di questa moderna filosofia dello spazio, costituiscono il
vero fulcro di questo concetto architettonico.
Nel
1933 la famiglia Ester fa costruire un cinema, oggi trasformato in albergo
sotto la protezione dei beni culturali, come d’altra parte tutto il
centro di Tel Aviv. Nel centro storico gli edifici del Bauhaus portano con
se ancora i ricordi dello Jugendstil,
allo stesso tempo segnano il passaggio in una nuova epoca che rinuncia
agli elementi decorativi per fare posto a tutto ciò che è strettamente
funzionale, pur mantenendo gradevoli proporzioni. La facciata del cinema
presenta una facciata ascetica e al contempo un raffinato senso del
movimento, un perfetto accordo tra le linee e il sole di Israele. Il
cinema Ester si trova sulla piazza Dizzengoff, il cuore di Tel Aviv, la
perfezione della sua passata bellezza si può comprendere soltanto dalle
vecchie fotografie, quando l’edificio rotondo troneggiava liberamente
nella piazza immersa nel verde. Le facciate bianche come la neve, tagliate
orizzontalmente da balconate continue e da sprazzi di luce, fluidamente
scorrono.
La
piazza oggi è stata rialzata di alcuni metri per far passare sotto di
essa l’arteria principale della città. Un problema quello del traffico
automobilistico che i primi urbanisti non potevano neppure lontanamente
immaginare e che oggi getta la raffinata architettura Bauhaus, con le sue
linee chiare e semplici, in molti punti di Tel Aviv, in un inestricabile
caos. Nelle costruzioni squadrate, nei cubi e negli angoli, gli architetti
hanno fissato in grande stile le basi della costruzione moderna, in
seguito applicata da tutte le metropoli moderne e sviluppata in altezza.
Essenzialità in bianco, funzionalità strutturale nelle linee diritte.
Ciò che formalmente nasce a Weimar e Dessau e che oggi caratterizza il
volto architettonico nel mondo in uno stile internazionale, comincia
proprio qui a Tel Aviv, la città vestita di bianco, la città che fonda
un sogno sulla spiaggia e che coraggiosamente fornisce nuovo terreno
fertile alla moderna architettura.
Tel Aviv è stata dichiarata città di patrimonio
dell’umanità UNESCO per il suo tesoro di architettura Bauhaus. La
“città bianca” di Tel Aviv annovera più edifici in stile Bauhaus –
o “movimento moderno” – di chiunque altro al mondo. La città è
stata inaugurata come sito di patrimonio dell’umanità il 6 Giugno 2004,
con una serie di avvenimenti festivi nel corso di tre giornate che hanno
celebrato la proclamazione e la cultura Bauhaus. Dignitari internazionali
e illustri architetti provenienti da tutto il mondo hanno preso parte ai
festeggiamenti.
La “città bianca” di Tel Aviv comprende 4.000 edifici che
rappresentano il movimento moderno – una sintesi di stili architettonici
popolari nell’Europa dei primi anni del XX secolo, fortemente
influenzata dalla scuola di arte e design della Bauhaus. Questi edifici,
costruiti tra il 1931 e il 1956, sono stati progettati da architetti
immigrati formatisi in Europa, i quali hanno saputo adattare lo stile
moderno alla cultura e al clima di Tel Aviv.
Secondo il criterio adottato dall’UNESCO per dichiarare un sito
patrimonio dell’umanità, la “città bianca” di Tel Aviv è “una
sintesi di eccezionale significato delle varie tendenze del movimento
moderno in architettura e nella progettazione di città, del primo periodo
del XX secolo. Tali influenze sono state adattate alle condizioni
culturali e climatiche del luogo, come pure integrate alle tradizioni
locali.” Il pezzo forte degli avvenimenti è stata la dichiarazione
ufficiale di patrimonio dell’umanità ad opera del vice direttore
generale dell’UNESCO, Marco Barbosa.
Come previsto dal trattato del World Heritage Convention adottato
dall’UNESCO nel 1972, l’organizzazione lavora per proteggere e
preservare siti culturali e naturali sparsi nel mondo e considerati di
valore inestimabile per l’umanità. Attualmente, più di 170 paesi hanno
aderito al convegno, rendendolo uno degli strumenti legali internazionali
più noto per la protezione del patrimonio culturale e naturale.