Il
museo
di
Robben
Island
va
ben
oltre
il
semplice
racconto
di
una
storia:
ha
un
significato
simbolico
non
solo
per
la
società
sudafricana
con
la
sua
grande
diversità
di
culture,
ma
per
il
mondo
intero.
Oltre
alla
sua
storia
che
risale
a
metà
del
1600,
è
un
simbolo
di
giustizia,
diritti
civili
e
sacrificio.
Soltanto le foche, che gli hanno dato il nome (in olandese), riescono a
trovare
accogliente
quest'
isola
lunga
tre
chilometri
e
mezzo
e
larga
nemmeno
due
dove
Nelson
Mandela
ha
trascorso,
rinchiuso
nella
prigione
di
massima
sicurezza,
quasi
diciotto
anni,
dal
14
giugno
1964
all'aprile
del
1982.
Robben
Island
è
a
una
decina
di
chilometri
a
Nord
del
porto
di
Città
del
Capo.
Un
battello
che
parte
da
un
molo
del
"Waterfront",
il
vecchio
porto
vittoriano,
collega
la
terraferma
con
questo
aspro
lembo
di
roccia
piatto
e
percosso
senza
tregua
dalla
furia
delle
onde
dell'Atlantico
e
investito
da
venti
incessanti
che
lo
avvolgono
in
una
nuvola
di
salsedine.
Sull'unica
altura,
che
raggiunge
i
trenta
metri,
svetta
un
faro.
La
storia
di
questo
pezzo
di
territorio
è
strettamente
legata
alla
conquista
del
Sudafrica
da
parte
dei
navigatori
olandesi,
gli
antenati
degli
attuali
afrikaner,
impegnati
alla
metà
del
XVIII
secolo
sulla
rotta
delle
Indie
orientali.
Il
primo
gruppo
di
esploratori
sbarcato
al
Capo
nel
1647
fu
attaccato
e
respinto
dagli
aborigeni
ottentotti
"Khoi
Khoin".
Gli
olandesi,
non
preparati
allo
scontro,
dovettero
ritirarsi
e
riprendere
il
mare.
L'isola
divenne
la
loro
prima,
per
quanto
precaria,
base
di
transito
sulla
rotta
dell'
Est.
Il
comandante
della
spedizione,
raccontano
i
libri,
lasciò
parte
degli
uomini
e
il
bestiame
vivo
e
tornò
in
Olanda.
Pecore
e
mucche
dovevano
essere
allevate
per
fornire
carne
alle
navi
di
passaggio,
oltre
che
per
sfamare
la
gente
dell'
avamposto.

Jan
van
Riebeeck
tornò
al
comando
di
adeguate
forze
e
questa
volta
non
ebbe
difficoltà
a
piegare
e
asservire
gli
indigeni.
Il
Capo
divenne
il
punto
di
rifornimento
per
la
flotta
mercantile
olandese
della
Compagnia
delle
Indie
Orientali:
qui
c'era
tutto,
acqua,
frutta
fresca
e
verdura,
carne
a
volontà
.
Finalmente
l'avamposto
di
Robben
Island,
una
sorta
di
"isola
del
diavolo"
delle
coste
della
Guyana
francese,
poteva
essere
lasciato.
Ma
non
abbandonato.
Un'
epidemia
di
vaiolo
che
decimò
soprattutto
gli
ottentotti,
ma
colpì
anche
gli
europei
e
gli
asiatici
che
essi
avevano
portato
al
Capo
dalle
colonie
delle
Indie
orientali,
vide
Robben
Island
assurgere
al
ruolo
di
punto
di
quarantena,
oltre
che
di
bagno
penale.
Poi
cominciarono
a
esservi
abbandonati
con
un
barile
d'acqua,
secondo
le
dure
leggi
del
mare
di
quei
tempi,
anche
gli
ammutinati.
Nel
gennaio
del
1744
vi
fu
tradotto
in
catene
dalla
Repubblica
di
Batavia
anche
il
prigioniero
politico
Sayed
Abdurahman
Motura,
considerato
un
eroe
dell'Islam
e
ancora
oggi
ricordato
da
un
tempio
edificato
in
suo
onore
nel
1967
e
restaurato
nel
gennaio
scorso.
Visite
settimanali
dei
fedeli
musulmani
sono
state
ammesse
soltanto
dal
1980,
quando
il
carcere
di
massima
sicurezza
venne
trasferito
in
terraferma.
In
tre
secoli
e
mezzo,
per
un
verso
o
per
l'altro,
questo
postaccio
è
tornato
sempre
utile
a
chi
deteneva
il
potere.
Hanno
cacciato
qui
ladri
e
assassini,
prigionieri
politici
e
malati
di
mente.

Nel
1850,
quando
il
Capo
era
una
colonia
della
Corona
britannica,
a
Robben
Island
fu
aperto
anche
un
lebbrosario,
chiuso
poi
nel
1931.
Gli
inglesi
non
hanno
certo
avuto
la
mano
leggera
con
chi
ostacolava
i
loro
progetti
di
espansione
nelle
colonie.
Da
queste
parti
se
ne
sono
viste
di
tutti
i
colori,
fin
dallo
sbarco
dei
primi
conquistatori.
Se
il
peggio
del
peggio
esiste,
certo
le
leggi
dell'apartheid
sono
state
quelle
che
hanno
fatto
toccare
il
fondo,
ma
prima
per
i
nemici,
a
prescindere
dal
colore
della
pelle,
non
c'era
scampo.
Il
re
degli
zulu
Dinizulu,
quando,
in
seguito
alla
guerra
anglo
zulu,
la
Zululand
fu
proclamata
territorio
britannico,
fu
deportato
all'
isola
di
Sant'Elena.
Durante
l'ultima
guerra
mondiale
Robben
Island
fu
fortificata
con
pezzi
di
artiglieria
a
lunga
gittata.
L'avamposto
strategico
tornava
ancora
una
volta
utile
per
difendere
la
"Citta'
Madre",
nel
caso
il
nemico
nazista
intendesse
aggredirla
dal
mare.
Ma
non
ci
furono
attacchi
e
i
cannoni
faticosamente
portati
su
Robben
Island
restarono
inutilizzati.
Se
i
rappresentanti
della
regina
Vittoria
non
sono
stati
teneri
e
hanno
fatto
largo
uso
delle
fetenti
celle
delle
galere
di
Robben
Island,
dove
alla
miseria
umana
della
privazione
della
libertà
si
aggiungeva
anche
l'insopportabile,
perenne,
puzza
degli
escrementi
delle
foche,
il
governo
del
partito
nazionalista
sudafricano
che
ha
guidato
ininterrottamente
il
Paese
dal
1948
fino
a
ieri,
non
ha
esitato
a
trasformare
Robben
Island
in
un
luogo
di
detenzione
dal
quale
era
più
facile
uscire
da
morti
che
da
vivi.
Nei
primi
Anni
'50
fu
costruito
il
sinistro
gruppo
di
edifici
della
prigione
di
massima
sicurezza.
I
"nemici
dello
Stato",
come
Nelson
Mandela,
condannato
per
alto
tradimento
insieme
ad
altri
seguaci
dell'Anc,
furono
tutti
rinchiusi
qui.
Molti
vi
sono
morti.
Altri
vi
hanno
trascorso
gli
anni
più
belli
della
vita.
Mandela
finì
dietro
quelle
sbarre
a
46
anni
con
i
capelli
neri
e
ne
uscì
(trasferito
al
piu'
moderno
carcere
di
sicurezza
di
Pollsmor,
sempre
al
Capo),
già
canuto
e
indebolito
dalla
tubercolosi.
La
malattia
si
rivelerà
in
pieno
solo
nel
1988
e
Mandela
sarà
curato
presso
il
Tygerberg
hospital
e
poi
alla
Costantiaberg
medi
clinic.
Guarito,
attese
la
liberazione
nella
casetta
dei
guardiani
del
Victor
Verster,
il
carcere
di
Paarl.
Dall'isola
dei
dannati
al
palazzo
del
potere
bianco,
l'Union
Buildings
di
Pretoria.
Nelson
Mandela
non
ha
mai
mostrato
eccessivo
rancore
per
il
duro
prezzo
pagato
durante
tutta
una
vita.
Ora
assapora
la
vittoria
e
la
gloria.
E
ha
deciso
che
Robben
Island
diventi
un
museo.

Oggi bianchi e neri in Sudafrica
convivono
pacificamente,
almeno
in
apparenza,
e
questo
può
definirsi
già
un
miracolo.
Gran
parte
del
merito
di
questo
successo
è
da
attribuirsi
a
Nelson
Mandela,
il
quale
ha
avuto
la
forza
di
imporsi
a
tutte
le
comunità
etniche
come
il
grande
pacificatore
nazionale.
Robben Island è raggiungibile su
moderni
traghetti.
Appena
scesi
sulla
banchina
si
è
accolti
da
enormi
gigantografie
che
ritraggono
i
prigionieri
neri
incatenati
esattamente
sullo
stesso
molo
che
vengono
scortati
dentro
la
prigione.
E'
un
po'
la
stessa
sensazione
che
si
prova
visitando
i
campi
di
sterminio
nazisti
solo
che
qui
le
guide
sono
gli
stessi
prigionieri
politici
che
in
quella
prigione
hanno
patito
le
pene
dell'inferno.
Qui i lavori forzati erano
continuativi,
7
giorni
su
7,
otto
ore
al
giorno
a
scavare
le
pietre
con
cui
gli
stessi
prigionieri
si
sono
costruiti
la
loro
prigione.
Da
mangiare
poco
più
che
un
porridge
di
cereali
e
un
caffè
con
un
cucchiaio
di
zucchero.
Le visite di parenti consentite solo
ogni
sei
mesi.
Le
celle
erano
dei
grossi
stanzoni
senza
letti,
solo
una
coperta
e
della
paglia
per
terra.
E
poi
le
torture
sistematiche,
non
per
confessare
alcunché,
ai
bianchi
non
interessava,
ma
per
spezzare
la
volontà
di
quelli
che,
ricordiamolo,
erano
solo
prigionieri
politici,
non
terroristi
o
assassini
comuni.
La maggior parte di essi era dentro
per
aver
fatto
propaganda
politica,
al
limite
qualche
atto
di
sabotaggio.
Solo
pochissimi
si
erano
macchiati
di
delitti
di
sangue.
E
sentire
raccontare
tutto
ciò
da
un
ex
prigioniero,
è
un'esperienza
che
merita
da
sola
il
viaggio
fino
a
Cape
Town.
Robben Island era l'inferno dei neri.
C'erano
anche
alcuni
bianchi
che
lottavano
contro
la
segregazione
razziale
ma
loro
erano
imprigionati
vicino
a
Johannesburg:
l'apartheid
esisteva
anche
in
prigione.

I
carcerati
di
Robben
Island
sono
riusciti
a
trasformare,
sia
a
livello
psicologico
che
politico,
un
luogo
di
reclusione
"infernale"
in
un
simbolo
di
libertà
e
di
emancipazione
personale.
L'isola
è
così
diventata
un
simbolo
del
trionfo
dello
spirito
umano
su
avversità
e
sofferenze
enormi,
non
solo
per
il
Sudafrica
ed
il
continente
africano,
ma
per
il
mondo
intero.
 
 
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