Robben Island
Sudafrica

patrimonio dell'umanità dal 1999

Video - Video 2 - Video 3

Il museo di Robben Island va ben oltre il semplice racconto di una storia: ha un significato simbolico non solo per la società sudafricana con la sua grande diversità di culture, ma per il mondo intero. Oltre alla sua storia che risale a metà del 1600, è un simbolo di giustizia, diritti civili e sacrificio. 

Soltanto le foche, che gli hanno dato il nome (in olandese), riescono a trovare accogliente quest' isola lunga tre chilometri e mezzo e larga nemmeno due dove Nelson Mandela ha trascorso, rinchiuso nella prigione di massima sicurezza, quasi diciotto anni, dal 14 giugno 1964 all'aprile del 1982. 

Robben Island è a una decina di chilometri a Nord del porto di Città del Capo. Un battello che parte da un molo del "Waterfront", il vecchio porto vittoriano, collega la terraferma con questo aspro lembo di roccia piatto e percosso senza tregua dalla furia delle onde dell'Atlantico e investito da venti incessanti che lo avvolgono in una nuvola di salsedine. Sull'unica altura, che raggiunge i trenta metri, svetta un faro. 

La storia di questo pezzo di territorio è strettamente legata alla conquista del Sudafrica da parte dei navigatori olandesi, gli antenati degli attuali afrikaner, impegnati alla metà del XVIII secolo sulla rotta delle Indie orientali. Il primo gruppo di esploratori sbarcato al Capo nel 1647 fu attaccato e respinto dagli aborigeni ottentotti "Khoi Khoin". Gli olandesi, non preparati allo scontro, dovettero ritirarsi e riprendere il mare. L'isola divenne la loro prima, per quanto precaria, base di transito sulla rotta dell' Est. Il comandante della spedizione, raccontano i libri, lasciò parte degli uomini e il bestiame vivo e tornò in Olanda. Pecore e mucche dovevano essere allevate per fornire carne alle navi di passaggio, oltre che per sfamare la gente dell' avamposto. 

Jan van Riebeeck tornò al comando di adeguate forze e questa volta non ebbe difficoltà a piegare e asservire gli indigeni. Il Capo divenne il punto di rifornimento per la flotta mercantile olandese della Compagnia delle Indie Orientali: qui c'era tutto, acqua, frutta fresca e verdura, carne a volontà . Finalmente l'avamposto di Robben Island, una sorta di "isola del diavolo" delle coste della Guyana francese, poteva essere lasciato. Ma non abbandonato. 

Un' epidemia di vaiolo che decimò soprattutto gli ottentotti, ma colpì anche gli europei e gli asiatici che essi avevano portato al Capo dalle colonie delle Indie orientali, vide Robben Island assurgere al ruolo di punto di quarantena, oltre che di bagno penale. Poi cominciarono a esservi abbandonati con un barile d'acqua, secondo le dure leggi del mare di quei tempi, anche gli ammutinati. 

Nel gennaio del 1744 vi fu tradotto in catene dalla Repubblica di Batavia anche il prigioniero politico Sayed Abdurahman Motura, considerato un eroe dell'Islam e ancora oggi ricordato da un tempio edificato in suo onore nel 1967 e restaurato nel gennaio scorso. 

Visite settimanali dei fedeli musulmani sono state ammesse soltanto dal 1980, quando il carcere di massima sicurezza venne trasferito in terraferma. In tre secoli e mezzo, per un verso o per l'altro, questo postaccio è tornato sempre utile a chi deteneva il potere. Hanno cacciato qui ladri e assassini, prigionieri politici e malati di mente. 

Nel 1850, quando il Capo era una colonia della Corona britannica, a Robben Island fu aperto anche un lebbrosario, chiuso poi nel 1931. Gli inglesi non hanno certo avuto la mano leggera con chi ostacolava i loro progetti di espansione nelle colonie. Da queste parti se ne sono viste di tutti i colori, fin dallo sbarco dei primi conquistatori. 

Se il peggio del peggio esiste, certo le leggi dell'apartheid sono state quelle che hanno fatto toccare il fondo, ma prima per i nemici, a prescindere dal colore della pelle, non c'era scampo. Il re degli zulu Dinizulu, quando, in seguito alla guerra anglo zulu, la Zululand fu proclamata territorio britannico, fu deportato all' isola di Sant'Elena. Durante l'ultima guerra mondiale Robben Island fu fortificata con pezzi di artiglieria a lunga gittata. L'avamposto strategico tornava ancora una volta utile per difendere la "Citta' Madre", nel caso il nemico nazista intendesse aggredirla dal mare. Ma non ci furono attacchi e i cannoni faticosamente portati su Robben Island restarono inutilizzati. 

Se i rappresentanti della regina Vittoria non sono stati teneri e hanno fatto largo uso delle fetenti celle delle galere di Robben Island, dove alla miseria umana della privazione della libertà si aggiungeva anche l'insopportabile, perenne, puzza degli escrementi delle foche, il governo del partito nazionalista sudafricano che ha guidato ininterrottamente il Paese dal 1948 fino a ieri, non ha esitato a trasformare Robben Island in un luogo di detenzione dal quale era più facile uscire da morti che da vivi. 

Nei primi Anni '50 fu costruito il sinistro gruppo di edifici della prigione di massima sicurezza. I "nemici dello Stato", come Nelson Mandela, condannato per alto tradimento insieme ad altri seguaci dell'Anc, furono tutti rinchiusi qui. Molti vi sono morti. Altri vi hanno trascorso gli anni più belli della vita. Mandela finì dietro quelle sbarre a 46 anni con i capelli neri e ne uscì (trasferito al piu' moderno carcere di sicurezza di Pollsmor, sempre al Capo), già canuto e indebolito dalla tubercolosi. La malattia si rivelerà in pieno solo nel 1988 e Mandela sarà curato presso il Tygerberg hospital e poi alla Costantiaberg medi clinic. Guarito, attese la liberazione nella casetta dei guardiani del Victor Verster, il carcere di Paarl. Dall'isola dei dannati al palazzo del potere bianco, l'Union Buildings di Pretoria. Nelson Mandela non ha mai mostrato eccessivo rancore per il duro prezzo pagato durante tutta una vita. Ora assapora la vittoria e la gloria. E ha deciso che Robben Island diventi un museo.

Oggi bianchi e neri in Sudafrica convivono pacificamente, almeno in apparenza, e questo può definirsi già un miracolo. Gran parte del merito di questo successo è da attribuirsi a Nelson Mandela, il quale ha avuto la forza di imporsi a tutte le comunità etniche come il grande pacificatore nazionale.  

Robben Island è raggiungibile su moderni traghetti. Appena scesi sulla banchina si è accolti da enormi gigantografie che ritraggono i prigionieri neri incatenati esattamente sullo stesso molo che vengono scortati dentro la prigione. 

E' un po' la stessa sensazione che si prova visitando i campi di sterminio nazisti solo che qui le guide sono gli stessi prigionieri politici che in quella prigione hanno patito le pene dell'inferno.

Qui i lavori forzati erano continuativi, 7 giorni su 7, otto ore al giorno a scavare le pietre con cui gli stessi prigionieri si sono costruiti la loro prigione. Da mangiare poco più che un porridge di cereali e un caffè con un cucchiaio di zucchero. 

Le visite di parenti consentite solo ogni sei mesi. Le celle erano dei grossi stanzoni senza letti, solo una coperta e della paglia per terra. E poi le torture sistematiche, non per confessare alcunché, ai bianchi non interessava, ma per spezzare la volontà di quelli che, ricordiamolo, erano solo prigionieri politici, non terroristi  o assassini comuni.

La maggior parte di essi era dentro per aver fatto propaganda politica, al limite qualche atto di sabotaggio. Solo pochissimi si erano macchiati di delitti di sangue. E sentire raccontare tutto ciò da un ex prigioniero, è un'esperienza che merita da sola il viaggio fino a Cape Town. 

Robben Island era l'inferno dei neri. C'erano anche alcuni bianchi che lottavano contro la segregazione razziale ma loro erano imprigionati vicino a Johannesburg: l'apartheid esisteva anche in prigione.  

RobbenIsland3.jpg (142141 byte)  RobbenIsland5.jpg (184343 byte)  RobbenIsland6.jpg (218317 byte)

I carcerati di Robben Island sono riusciti a trasformare, sia a livello psicologico che politico, un luogo di reclusione "infernale" in un simbolo di libertà e di emancipazione personale. 

L'isola è così diventata un simbolo del trionfo dello spirito umano su avversità e sofferenze enormi, non solo per il Sudafrica ed il continente africano, ma per il mondo intero.