I
tremila anni di storia dell'Egitto prima di Cristo sono
scanditi dall'elenco delle trentuno dinastie che
vi regnarono. La prima di esse, tra il 2920 e il
2770 a.C., creò l'impero egizio unificando i
territori comprendenti il delta del Nilo, il
Basso Egitto e il deserto fino all'attuale diga
di Assuan, l'Alto Egitto.
La
fondazione di Menfi, la più antica capitale
dello stato faraonico, è attribuita a Menes,
figura mitica di sovrano, che gli stessi
Egiziani ritenevano avesse, primo fra tutti,
unificato il Paese in un unico regno. Mènes o Nàrmer, fece
edificare una nuova capitale nelle vicinanze del
delta del Nilo, nel punto dove i due regni
confinavano: "la città di Mènes"
Mennofrè, chiamata anche Hut-Ka-Pta
"dimora del Ka di Pta", il santuario
maggiore dedicato al dio della forza creatrice,
il "plasmatore della terra",
rappresentato come un artigiano dalla testa
d'ariete intento a modellare l'uomo con il
tornio da vasaio. Da quest'ultimo nome deriva la
parola greca di Aigyptos, da cui il latino
Aegyptus e quindi l'italiano Egitto.
Nonostante
in epoca successiva il ruolo di centro politico
e amministrativo fosse stato assunto da altre
città, la preminenza e l'autorità di Menfi si
mantennero fino in tarda epoca. Il sovrano
nubiano Pye 8750-712 a.C.), dopo avere risalito
tutto il corso del Nilo a nord della quarta
Cateratta, considerò conclusa la sua marcia di
conquista soltanto quando varcò le soglie del
tempio dedicato a Ptah, patrono di Menfi. Con
questo suo atto, Pye riteneva di avere
conquistato tutto l'Egitto: poco importava, al
sovrano nubiano che a nord regnassero ancora i
discendenti di Menes. A Menfi risiedeva la vera
essenza dell'Egitto.
Oggi,
della passata gloria di Menfi resta ben poco.
Tra i palmeti di Mit Rahina si intravede un
esteso monticolo di detriti che ricopre le
vestigia di immensi complessi templari, spesso
assai difficilmente identificabili, dato che
sono stati sottoposti a reiterato saccheggio nel
corso dei secoli. Molte delle pietre con cui
erano stati costruiti i santuari degli dèi si
trovano oggi reimpiegate nelle mura degli
edifici della Cairo islamica e mamelucca.
Eppure
Menfi doveva essere bellissima, se si vuole dare
credito alle descrizioni che si leggono sui
papiri ramessidi: "Non c'è nulla che possa
essere paragonato a Menfi... I suoi granai sono
ricolmi di grano e di orzo, i suoi laghi
ricoperti di fiori e boccioli di
loto...".

A
testimoniare la grandezza della Menfi faraonica
sono soprattutto le sue necropoli distese su una
striscia di deserto lunga più di quaranta
chilometri, a occidente del Nilo, da Abu Roash
fino a Dahshur. Furono i sovrani della II
Dinastia a sfruttare per primi le sabbie del
deserto a occidente di Saqqara come luogo di
sepoltura regale. Delle loro tombe, recinti di
ampie proporzioni con al centro una mastaba,
restano soltanto scarse tracce.
Prima
di loro, la zona era già stata utilizzata come
cimitero dai funzionari, vissuti durante la I
Dinastia, dello stato faraonico in formazione,
il cui apparato burocratico si era da poco
stabilito a Menfi. Le loro tombe rivaleggiavano
e superavano in estensione quelle dei sovrani
presso cui prestavano servizio e che, all'epoca,
si facevano ancora seppellire ad Abido in Alto
Egitto, dalla cui regione aveva avuto origine la
casa regnante.
A Saqqàra, la necropoli più vicina
alla capitale e la più vasta di tutto il paese,
sorge la prima grande piramide in pietra. Fu
fatta costruire come sepolcro, per sé e per la
propria famiglia, da Djòser (2630-2611 a.C),
fondatore della III dinastia. L'intero complesso
funerario fu concepito dall'architetto Imhotep e
rappresenta qualcosa di estremamente
rivoluzionario per l'epoca.
Fulcro
di tutto è la cosiddetta "piramide a
gradoni", intorno alla quale si sviluppa un
complesso di edifici che hanno la funzione di
fare da scenario ai festeggiamenti del Giubileo
del sovrano. Elemento innovativo è
rappresentato dal materiale da costruzione
utilizzato: il complesso funerario di Djoser
può infatti essere considerato il primo
edificio di una certa importanza, completamente
costruito in pietra.
L'abbandono di canna, legno e limo de
Nilo è brusco e il linguaggio formale su cui
sono impostate le strutture è sviluppato a
partire proprio dagli edifici più antichi
costruiti in questi materiali. Le architetture
in pietra rivelano i modelli di riferimento a
cui sono ispirate e così, per esempio, le
colonne riproducono fasci di canna che non si
distaccano completamente dalle pareti
retrostanti mentre le sommità delle mura
esterne ripropongono motivi decorativi ispirati
alle cannicciate rivestite di fango.
Il progetto iniziale fu modificato
varie volte. La "piramide a gradoni"
prende origine da una mastaba, simile a quella
dei sovrani precedenti, che fu innalzata cinque
volte, attraverso la sovrapposizione di altre
cinque mastabe di dimensioni decrescenti, fino a
raggiungere un'altezza di circa 58 metri.
Approssimativamente al centro della
costruzione, in un grande pozzo profondo
ventotto metri e largo sette, era il sepolcro
reale. Sullo zoccolo di una statua di Djòser e
all'interno della cinta muraria della piramide,
vicino al colonnato d'ingresso, è stato
scolpito il nome dell'architetto Imhòtep,
visir del re, capo dell'amministrazione statale,
gran sacerdote e medico. Il suo nome, talmente
famoso da essere divinizzato dai greci e
assimilato a quello di Esculapio, era già noto
attraverso le memorie di Manetone, storico
egizio del III secolo a.C.
Necropoli
di Saqqara:
1, mastaba di
Kagemni; 2, mastaba di Mereruka; 3, piramide di
Teti; 4, piramide di Userkaf; 5, complesso funerario di
Djoser; 6,
mastaba di Ptahhotep; 7, piramide di Unis; 8,
complesso funerario di Sekhemekhet; 9, Serapeo. |
Menfi:
1, cinta del tempio di Ptah; 2, sala ipostila;
3, tempio di Ramses II; 4, colosso di Ramses II;
5, sfinge di alabastro. |
Il percorso portava a una piazza
chiamata "cortile del Giubileo", dove
veniva rappresentata la cerimonia
dell'incoronazione durante i riti giubilari - o
festa di Sed - destinati a ritemprare i poteri
del re. Un lato del cortile è occupato da un
grande podio a gradini sul quale erano disposti
i troni del faraone come re del Basso e
dell'Alto Egitto. A est e a ovest del podio
furono edificati dei santuari a pianta
rettangolare con copertura piana o centinata,
dalle facciate piane o mosse da sottili colonne
rastremate, probabilmente contenenti le immagini
degli dei che assistevano all'incoronazione del
sovrano.
Il complesso comprendeva altri
edifici di culto come la "Casa del
Nord" e la "Casa del Sud"
imitanti i palazzi di Djòser come re del Nord e
del Sud; sul lato ovest furono costruite camere
sotterranee e sale al livello del suolo per
contenere le innumerevoli offerte che
giornalmente venivano donate ai defunti reali.
Come se ciascun regno avesse dedicato una
struttura funeraria al proprio sovrano, anche le
tombe sono due: sul lato sud del complesso sorge
una semplice costruzione a mastaba alla quale è
associata una cappella decorata da un fregio di
coronamento raffigurante dei cobra, simbolo del
Basso Egitto. Nel serdab ("cella") era
la statua di Djòser che, attraverso due fori
praticati nella parete, poteva vedere la stella
polare e le costellazioni, intramontabile meta
del suo viaggio nell'aldilà. La statua è il
primo esempio di scultura a misura reale a tutto
tondo. Il sovrano, con le parti nude dipinte di
rosso, è seduto sul trono in maniera da
costituire un'unica solida base dalla quale
sporgono il busto e le gambe.

Una tappa importante in questa evoluzione è segnata dal
regno di Snèfru (2575-2551 a.C), nel corso del
quale vengono edificate tre piramidi. La prima
fu costruita a una notevole distanza a sud di
Menfi, nella località di Meidum, le altre due
(meglio note come "piramide a doppia
pendenza" e "piramide rossa") a
Dahshur.
La
"piramide rossa", dal colore rossiccio
del calcare con cui è stata edificata, è apparentemente bassa e appiattita per il
rapporto proporzionale fra l'ampia base di 213
metri e l'altezza di 99. Nonostante un'eccessiva
pendenza, servì poi da prototipo per la grande
piramide di Cheope, figlio e successore di
Snèfru, a Giza.
A sud della "piramide rossa", si erge la
"piramide romboidale". Con la doppia
pendenza delle quattro facce, sembra
rappresentare una forma intermedia e quindi di
passaggio dalla piramide a gradoni alla piramide
a lati obliqui. Con Snèfru compaiono inoltre le
costruzioni annesse, che saranno caratteristiche
di tutti i complessi funerari di questo tipo.
L'ingresso della tomba si trovava sul lato nord, verso la
stella polare; a est un tempio funerario era
collegato per mezzo di una strada sopraelevata a
un tempio della valle; a sud una piramide
secondaria rappresentava il cenotafio del regno
dell'Alto Egitto. Il tempio della valle meglio
conservato della necropoli di Dashur è quello
collegato alla piramide romboidale. La pianta è
rettangolare con l'ingresso posto a sud.
Un corridoio divide due sale destinate a ospitare le
offerte e conduce a un cortile scoperto, chiuso
sul lato nord da una parete con un doppio
colonnato di cinque pilastri a pianta quadrata.
Di fronte si innalzano sei tabernacoli. La
decorazione prevedeva figure di Snèfru sui
pilastri del muro nord e personificazioni delle
sue proprietà sotto forma di portatrici di
vassoi votivi con pane e acqua lungo le pareti
del corridoio.
Con Cheope (2550-2528 a.C.), la necropoli reale si spostò
a nord, a Giza e ad Abu Roash.
Furono i sovrani della V Dinastia a scegliere nuovamente
Saqqara come luogo di sepoltura. A loro si deve
soprattutto la prosecuzione del processo di
solarizzazione della religione egizia già
manifestatosi a partire dal regno di
Chefren.
L'interesse di Userkaf (2465-2458 a.C.) e dei suoi
successori era rivolto soprattutto alla
costruzione di templi dedicati al sole, le cui
rovine possono ancora oggi essere ammirate nel
sito di Abu Ghorab, tra Giza e Saqqara. Il
tornare a scegliere quest'ultimo sito come sede
per le proprie dimore eterne, manifesta
l'evidente desiderio di questi sovrani di distaccarsi
dalla tradizione precedente. I resti della
piramidi di Userkaf sorgono infatti a non molta
distanza dal complesso funerario di Djoser e
manifestano la volontà di ricollegarsi
idealmente al celebre sovrano della III
Dinastia.
Con Userkaf la piramide raggiunge la sua forma definitiva.
Dalla dispendiosa struttura completamente in
calcare, si passa a una dove la camera funeraria
in pietra è ricoperta da un cumulo, costituito
prevalentemente da detriti, rivestito
esternamente con lastre di calcare. L'aspetto monumentale
della tomba regale è così assicurato con un
minore dispendio di energie. I
successori di Userkaf scelsero invece di farsi
seppellire a nord di Saqqara, nella località di
Abu Sir.
Unas,
ultimo sovrano della V Dinastia, tornò a
scegliere Saqqara come luogo di sepoltura. La
sua piramide è ridotta a un monticolo di
detriti, ma le pareti dei suoi appartamenti
funerari recano iscritti, ed è la prima volta,
i Testi delle Piramidi. Si tratta di una
raccolta di testi che dovevano risultare utili
al re defunto nel momento in cui avesse
raggiunto l'Oltretomba. Gli argomenti trattati
sono tra i più vari: dagli inni alle divinità,
dagli scongiuri contro i serpenti, ai testi
magici dal significato totalmente
incomprensibile.
A
Saqqara, oltre alle piramidi dei sovrani della
VI Dinastia, sorgono anche le tombe dei
funzionari che vissero a cavallo tra questa e la
dinastia precedente. I loro ipogei si articolano
in più ambienti come le case in cui abitavano
da vivi. Le pareti sono decorate con rilievi
dipinti che riproducono scene tratte dalla via
di tutti i giorni. Opere di qualità artistica estremamente
elevata consentono altresì la ricostruzione di
un quadro assai preciso e fedele del quotidiano,
con tutte le sue consuetudini, ma anche con
tutti i suoi imprevisti. Mirabile, da questo
punto di vista, è la tomba di Ty, mentre, anche
se più ricche, risultano meno originali e meno
vivide le scene che abbelliscono le pareti di
quelle di Kagemni e Mereruka.
La
necropoli di Saqqara fu utilizzata con
continuità anche nelle epoche in cui Menfi
perdette la propria egemonia. Risalgono al Nuovo
Regno molte tombe di funzionari legati a
Tutankhamon e ad Akhenaton; tra queste, ha
splendidi decori quella del generale Horemheb
(1319-1307 a.C.), destinato, di lì a poco, ad
assumere il potere regale e a divenire faraone.
Nel corso del regno di Ramesse II (1290-1224
a.C.), a opera del principe Khaemuaset, fu
invece compiuta la totale risistemazione della
necropoli dei tori Apis, sita qualche chilometro
a nord del complesso funerario di Djoser.
Il
culto del toro era praticato a Menfi sin dalla
remota antichità. Lo ritroviamo menzionato nel
corredo di Hemaka, il funzionario che visse
sotto il sovrano Den della I Dinastia. In
quell'epoca il toro era una personificazione
della forza generatrice della natura. Con il
passare del tempo venne invece interpretato come
la manifestazione terrena del dio protettore di
Menfi, Ptah.
Le
caratteristiche salvifiche attribuite ad Apis
determinarono la fortuna del suo culto e l'ampia
diffusione che esso ebbe nell'Egitto di tarda
epoca. Alla sua morte il toro riceveva gli
stessi onori che erano attribuiti al sovrano.
Veniva sottoposto al complesso cerimoniale della
mummificazione e sepolto con un ricco corredo
funerario in un sarcofago in pietra di notevoli
dimensioni all'interno di profonde e lunghe
gallerie.
In
epoca greco-romana, il luogo era noto con il
nome di "Serapeo" e ricorre in molti
resoconti dei viaggiatori che in quei secoli si
recarono in visita alla Valle del Nilo. Tra
questi vi era Strabone. La sua descrizione
influenzò a tal punto il francese Auguste
Mariette (1821-1881) da spingerlo a
intraprendere alcuni scavi con l'unico scopo di
riportare alla luce l'entrata del Serapeo. Vi
riuscì dopo notevoli sforzi nel 1851. Con
questo avvenimento ebbe inizio anche
l'esplorazione sistematica e scientifica della
necropoli di Menfi, la più antica capitale
dell'Egitto faraonico.
Si deve al figlio di Snèfru, Khufu, o Chèope (2551-2528
a.C.) e ai suoi successori Rakhaef, ovvero Chèfren
(2520-2494 a.C.) e Menkaura, Micerino (2490-2472
a.C.) l'erezione delle grandi piramidi di Giza,
oggi minacciate dall'espansione della periferia
del Cairo. La
piramide è il simbolo del sole, il grande dio
Ra, il cui culto diviene preminente a partire
dalla IV dinastia, quando i faraoni si
presentano come suoi figli.
I Testi delle
piramidi, rinvenuti nelle camere funerarie delle
tombe datate alla fine dell'Antico Regno,
parlano della trasformazione del re defunto in
Sole: il re Horus veniva pertanto associato a
Ra, il cui culto principale era nella città che
non casualmente i greci chiamarono Eliopoli,
dove esisteva una raffigurazione dell'astro
formato da una fenice posata su una base
piramidale: il mitico uccello era simbolo, come
il sole, della perenne rinascita e quindi
dell'immortalità. La forma, con i quattro
spigoli declinati dall'alto in basso e dal
centro verso gli angoli è simile a quella dei
raggi del sole: essi partono dall'uno, in cielo,
si diramano verso il molteplice, in terra, e
viceversa dalla molteplicità e caducità della
terra ci riconducono verso l'unità divina, là
dove tornerà il sovrano.
"L'orizzonte
di Chèope", così era chiamata la tomba
del faraone, poiché in antico egizio non esisteva un geroglifico corrispondente
del termine piramide, è la più antica e la più
grande, con i suoi 146,59 metri d'altezza. Anche
se oggi le superfici si presentano scabre e
irregolari per l'asportazione del rivestimento
esterno durante il Medioevo, essa vanta
un'assoluta perfezione geometrica.

|
1:
piramide di Cheope;
2:
piramide di Chefren;
3:
piramide di Micerino;
4:
sfinge;
5:
tempio a valle di Chefren;
6:
via cerimoniale di Chefren;
7:
barca solare di Cheope;
8:
resti della via cerimoniale di Cheope. |
L'ingresso si trova al centro del lato nord, appena sopra
la base. All'interno l'angusto corridoio si
divide in due parti: in basso giunge a una
camera scavata nella roccia sotto il monumento,
in alto porta a un piccolo vano denominato
"Camera della Regina" e ancora a un
corridoio inclinato, la "Grande
Galleria" a sua volta collegata all'ampia
"Camera del Re" nella quale era
custodito il sarcofago reale. Più in alto, in
corrispondenza della camera funeraria
principale, sono state individuate sei cavità
con la funzione di alleggerire l'enorme peso
gravante su di essa.
La
costruzione della piramide
di Cheope
segnò lo spostamento della necropoli regale a
nord di Menfi, sull'altopiano di Giza. Il
monumento funerario del successore di Snefru fu
incluso tra le sette meraviglie del mondo antico
e, con i suoi quasi 147 metri di altezza,
rappresenta certo uno dei monumenti più
affascinanti di tutta la storia
dell'umanità.
A
torto considerato come il massimo raggiungimento
architettonico della cultura egizia, esso
rappresenta soltanto un'altra fase nello
sviluppo del monumento funerario regale egizio.
I sovrani continuarono infatti a farsi
seppellire in piramidi, riducendone dimensioni e
adottando sistemi costruttivi meno dispendiosi,
fino a oltre il Medio Regno. Eppure la Grande
Piramide ha sempre saputo eccitare la fantasia
degli uomini e su di essa è sorto ogni genere
di leggenda, da quelle raccontate ingenuamente
da Erodoto fino alle vere e proprie fandonie
che, anche in tempi recenti, riescono a monopolizzare
l'interesse dei media mondiali. Tutto perché,
al di fuori della cultura che l'ha prodotta,
l'enorme cumulo di pietre al cui interno si
trovava celata la mummia del sovrano, perde ogni
senso e porta a formulare tutta una serie di
ipotesi, tutte prive di fondamento perché
elaborate senza tenere conto della distanza
temporale e spaziale che separa il nostro modo
di pensare da quello degli egiziani di quasi
cinque millenni fa.

La
piramide, come molti altri simboli della cultura
egizia, si presta a molteplici letture. Essa si
pone come un segno nel deserto, un indicatore di
dove si trova il corpo del sovrano defunto. La
sua perfezione geometrica, ordinata, fa da
mirabile contrappunto al disordine rappresentato
da tutto ciò che la circonda. Attraverso la
piramide, anche dopo la morte, il sovrano
continua a esercitare la sua funzione di
difensore del cosmo (l'ordine) contro i
tentativi di invasione del caso (il disordine).
Questo dogma può servire da chiave
interpretativa per fornire una prima spiegazione
per comprendere perché la forma della piramide
sia stata scelta per segnalare il luogo di
sepoltura del sovrano. La piramide richiama
però alla mente anche un rilievo montuoso: la
prima collina di terra che si sarebbe elevata
dalle acque primordiali e da cui avrebbe avuto
origine tutto il processo della creazione.
Intorno
a quella di Cheope fecero costruire la propria sepoltura
anche i funzionari che avevano prestato servizio
sotto di lui. In un'epoca in cui l'eternità era
prerogativa esclusiva del sovrano, essergli
vicino anche nell'Oltretomba era l'unico modo
per assicurarsi una speranza di vita ulteriore.
Accanto a sé Cheope volle anche la propria
madre, quella Hetepheres, sposa di Snefru, che
doveva essere stata sepolta in un primo momento
tra le sabbie di Dahshur. La sua tomba è stata
scoperta lungo il lato orientale della Grande
Piramide e, sebbene il corpo della regina non vi
sia stato ritrovato, è stato possibile
recuperare parte del corredo che le apparteneva.
Il mobilio è ricoperto di foglie d'oro e d'oro
sono anche i vasi che le servivano per la toeletta,
d'argento sono invece due braccialetti. Tutti
questi oggetti, insieme al sarcofago di
alabastro, si trovano oggi al museo Egizio del
Cairo.
Lungo
il lato sud della piramide di Cheope è stata
invece rinvenuta un'imbarcazione in legno di
cedro del Libano. Era stata smontata e deposta
con cura in fondo a una fossa ricoperta con
lastre di calcare. Mostra segni di usura e
doveva giacere in prossimità della piramide per
consentire eventuali spostamenti al sovrano post
mortem. Restaurata e perfettamente
ricostruita, si trova ora esposta in un museo
appositamente costruito ai piedi della piramide,
proprio sopra il pozzo dove era stata rinvenuta.
Ricerche sul terreno hanno dimostrato
l'esistenza di un'altra fossa, in cui si trovano
i pezzi di una seconda imbarcazione, che però
è stato deciso di non aprire.

La
piramide di Chefren (2520-2494 a.C.) ha
dimensioni minori rispetto a quella del padre
Cheope ma, dato che si trova sopra una lieve
altura, dà la sensazione di essere leggermente
più alta. La sua sommità conserva ancora parte
del rivestimento in calcare bianco che fu
sistematicamente smantellato dalla sua base e
dalle altre piramidi di Giza per costruire alcuni
edifici del Cairo in epoca araba.
Il
complesso funerario di Chefren si è conservato
in migliori condizioni rispetto a quello di
Cheope. Sul lato orientale della piramide sono
ancora visibili le vestigia del tempio dove
avevano luogo i riti per il sovrano defunto. Da
questo, attraverso una rampa coperta in discesa,
si raggiungeva il cosiddetto "tempio della
valle", dove la salma del sovrano veniva
sottoposta ai riti di mummificazone e purificazione.
La sua struttura è costituita da blocchi di
granito, del peso di numerose tonnellate, il cui
colore rosso si contrappone in un felice
contrasto cromatico con il bianco dei pavimenti
di alabastro.
Il
vuoto degli ambienti è soverchiato dalla
pesantezza di pareti, pilastri e architravi e
restituisce bene l'impressione che promanano
tutte le opere della IV Dinastia. All'interno
del tempio in valle è stata inoltre ritrovata
una bellissima statua in diorite di Chefren. Il
sovrano è seduto su un trono e un falco, manifestazione
del dio Horus, è posto dietro la sua nuca; le
ali del rapace cingono la testa del re
nell'abituale gesto di protezione e danno vita a
un susseguirsi di giochi geometrici in ci si
rileva il modo astratto di concepire l'arte in
questo periodo della storia egizia. Accanto al
tempio in valle si trova un monticolo di
calcare, che era quanto restava di un altura
sfruttata per cavarne pietra da costruzione per
la piramide di Cheope.

L'informe
ammasso di roccia fu lavorato e trasformato
dalle maestranze di Chefren in un animale
fantastico, con il corpo leonino e la testa
umana, personificazione del potere del sovrano.
In epoca posteriore la statua colossale fu
divinizzata e identificata con il dio
Ra-Harakhti, il sole del mattino.
Durante
la XVIII Dinastia (1550-1295 a.C.) le fu
dedicato un tempio e Thutmosi IV 81401-1391
a.C.), grazie a un sogno premonitore, si prese
cura di liberarla dalla sabbia. I primi
viaggiatori greci identificarono la mastodontica
scultura con un essere tratto dal loro
immaginario fantastico: la Sfinge. Le genti di
fede musulmana la chiamarono invece Abu el-Hol,
che significa "Padre della paura" e
con tale pittoresca definizione è ancora oggi
conosciuta.

La
piramide di Micerino, benché più piccola di
quelle dei suoi immediati predecessori, aveva la
base coperta in lastre di sienite, la
particolare qualità di granito che ai estrae ad
Assuan. La sommità aveva invece la copertura
esterna in lastre di calcare. In epoca
successiva, soprattutto ramesside, il granito fu
riutilizzato come materiale per sculture. Il
complesso funerario di Micerino era riccamente
decorato con statue del sovrano, ritrovate
numerose nel corso degli scavi.
Assai
celebri sono le cosiddette "triadi di
Micerino", dove il re è ritratto tra la
dea Hathor e la personificazione di una regione
egiziana. Capolavoro assoluto dell'arte di
questo periodo è invece la scultura che ritrae
Micerino e la moglie. Quest'ultima cinge la vita
del regale sposo in un gesto di affetto
coniugale, raro per le manifestazioni artistiche
di quest'epoca.
Con
la fine dell'Antico Regno e l'avvento di un
periodo in cui l'Egitto si trovò diviso, Menfi
perdette quel ruolo di primo piano che aveva mantenuto
fin dai primi momenti della storia egizia. Da
quel momento in poi, l'altopiano di Giza fu
abbandonato quasi completamente come luogo di
sepoltura. Si tornò a utilizzarlo con una certa
continuità nel corso del I millennio.
Più
o meno nello stesso periodo la piramide di una
sposa di Cheope fu identificata come il luogo di
sepoltura di Iside e lungo il suo lato orientale
fu eretto un tempio dedicato alla dea.

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