Nel 334
a.C. Alessandro re di Macedonia, "alleato" con le città
greche cadute sotto la sua influenza, dà l'assalto all'impero persiano,
che crollerà in quattro anni. Tappa intermedia di questa operazione sarà
la conquista dell'Egitto, cui seguirà la fondazione di Alessandria
d'Egitto, città la cui pianta sarebbe stata disegnata nel 331 a.C.
dallo stesso Alessandro con forma quadrangolare ad imitazione di
Babilonia e delle città mesopotamiche.
Alessandria diverrà la più grande città del mondo per tre secoli,
arrivando a contare, pare, un milione di abitanti, provvista anche di un
Museo (una specie di istituto per l'insegnamento, con collezioni di
opere d'arte e giardino botanico e zoologico) e di una Biblioteca con
700.000 volumi. Una diga in mattoni, lunga oltre un chilometro, univa
l'isola di Faro, posta di fronte alla città, alla terraferma, formando
due golfi, in cui avevano sede due porti, uno militare e uno mercantile
(di Eunosto).
Sull'isola, tra i porti, primi a possederne una, sorgeva una torre di
marmo, luminosa, alimentata durante la notte a legna o a petrolio e
potenziata con una serie di specchi, usata come torre d'avvistamento di
giorno. Strutturata a tre piani, ornata con statue di mostri marini e
divinità del mare e un'altra grande statua sulla cima, era alta 120-130
metri, e la sua luce visibile dalle navi a 60 chilometri di distanza. Il
nome di "faro", dall'isola che la ospitava, verrà poi
ereditato da tutte le successive torri luminose all'ingresso dei porti,
fino ai giorni nostri.
Già in
tempi antichissimi dovette esserci l'uso di accendere sull'alto delle
colline, in prossimità del Lido, dei fuochi perché fossero guida ai
naviganti. Si ritiene, tuttavia, che la prima vera e propria
torre-faro, quella che ha dato a tutte le altre il nome e il modello,
sia stata proprio quella di Alessandria d'Egitto. Architetto ne fu
Sostrato di Cnido, figlio di Dexifane, il quale lavorò sotto i primi
due Tolomei.
La
costruzione del Faro iniziò probabilmente nel 297 a.C., sebbene in
epoca più tarda il cronista Eusebio, vescovo di Cesarea, che era stato
prigioniero in Egitto, citi nella sua Cronaca la costruzione del faro
nell'anno 283 o 282 a.C. L'inaugurazione ebbe luogo sotto il secondo
Tolomeo, Filadelfo, tra il 280 e il 279 a.C.. Il Faro era stato
consacrato a favore dei navigatori agli dei salvatori ("teois
soteroi uper ton laixomenon", come diceva l'epigrafe
dedicatoria, che poteva facilmente essere scorta da chiunque entrasse o
uscisse dal porto), nei quali si devono probabilmente riconoscere
piuttosto che Tolomeo I e Berenice, i Dioscuri, Castore e Polluce,
divinità della luce, splendenti, che i naviganti vedevano, durante la
tempesta, posarsi sulla cima dell'albero maestro: la fiamma del Faro
vista isolata e alta sull'orizzonte, come una stella, sembrava ad essi
l'apparizione della divinità protettrice. Assai presto si diffuse nel
mondo antico la fama della torre luminosa sorta sulla spiaggia
dell'Egitto, torre che in verità era annoverata tra le più colossali
costruzioni dei re greci.
Non si conosce nulla di positivo
sull'origine della parola "faros" che taluni vorrebbero
derivare dall'egiziano phaar "tela" (i Greci avrebbero dato il
nome pharos all'isola in cui venivano a comprare il phaar); ma è
ipotesi poco consistente, tanto più che finora manca perfino la prova
sicura che la minuscola isola fosse la sede di un commercio
considerevole, prima della fondazione di Alessandria.
Fu Omero nell'Odissea a
menzionare Pharos come un'isola e la situò ad un giorno di vela
dall'Egitto.
Le fonti di Omero erano
ovviamente piuttosto incerte. La
leggenda narrava la storia
della bella Elena giunta in Egitto con
Paride, ma quell'isola in cui non c'era nulla da vedere e i cui unici
abitanti erano le foche l'annoiò. Dieci anni dopo vi tornò,
accompagnata questa volta dal suo sposo Menelao, che stava rientrando in
patria da Troia e che, spinto fuori rotta da una tempesta, era approdato su quella terra.
Menelao - narra la leggenda - incontrò un vecchio e gli chiese:
"Che isola è questa?". Il
vecchio rispose che l'isola era del Faraone.
Menelao,
che non aveva inteso bene, domandò di nuovo: "Faro?". Al che
il vegliardo rispose affermativamente, ripetendo la parola
"Faraone" con l'antica pronuncia egiziana, che la trasformò
in "Prouti". Menelao interpretò malamente la risposta: questa
volta capì "Proteo", nome che sapeva essere quello della
divinità marina a cui Poseidone aveva concesso il dono della profezia.
Così la pronuncia poco chiara di un vecchio e il qui pro quo di Menelao
fecero conoscere al mondo l'isola sotto il nome di Pharos, terra
protetta dal nume Proteo. Per di più, tornato in Grecia, Menelao
aggiunse qualche ricamo alla storia, tanto che le foche, disprezzate da
Elena, si mutarono in ninfe che affollavano la spiaggia.
Poco
sappiamo intorno all'edificio, dagli antichi genericamente ammirato a
mai sufficientemente descritto, e poiché tutte le innumerevoli torri
luminose che lo presero a modello sono andate distrutte, quando si
eccettui il piccolo faro di Taposiris Magna, alto 17 metri, ancora
superstite a circa 40 Km. sulla costa occidentale del Delta, per farcene
un'idea dobbiamo ricorrere alle modeste lanterne di terracotta, ai
mosaici, tra i quali recente quello scoperto a Gerasa e alle monete
alessandrine coniate sotto Domiziano, Traiano, Adriano, Antonino Pio,
Marco Aurelio e Commodo. In queste ultime sono evidenti i particolari
essenziali dell'edificio, specialmente i Tritoni, i mostri marini che
sappiamo nelle tombe o nelle conchiglie tortili, riprodotti agli angli
della cima del I piano.
Alla base
è raffigurata la porta di ingresso e un'immagine di Zeus Soter ritto in
piedi e munito di un lungo scettro è chiaramente visibile su parecchi
esemplari. Inoltre descrizioni del Faro ricorrono negli scritti di vari
autori classici all'inizio dell'era cristiana, soprattutto in Diodoro
Siculo, in Strabone e in Plinio il Vecchio, il quale ci dice che la
torre costò 800 talenti cioè circa 5 miliardi e 200 milioni di lire.
Del pari all'oscuro siamo circa
la sua organizzazione e amministrazione nell'età tolemaica, sebbene sia
indubbio che aveva una grande importanza per la vita economica della
città. Durante il dominio romano, Iside ebbe, tra gli altri mille,
anche l'epiteto di Faria e un tempio di questa dea protettrice della
navigazione sorse nell'isola ai piedi della grande torre. Alla guardia e
alla manutenzione del faro, nell'età romana, furono preposti liberti
imperiali. Il sistema d'illuminazione consisteva nell'accendere fuochi
di legno resinoso e grandi torce, oppure nel bruciare oli minerali in
vasti recipienti.
La potenzialità ed efficacia della luce, che gli
antichi considerarono stupefacenti, tanta era la distanza, 50 Km. circa,
a cui veniva proiettata, erano accresciute ad intermittenza da enormi
specchi concavi di metallo, i quali sarebbero stati espressamente
inventati da Archimede. E' noto infatti che nel I Medio Evo il Faro
trasmetteva alla città di Alessandria messaggi eliografici dalle navi
in arrivo.
La torre sorgeva all'ingresso del "megas limen",
sopra un isolotto riunito alla punta nord-est dell'isola di Faro,
proprio nel luogo attualmente occupato dal rovinato forte Qait Bey
(1477-79) che ne copre le fondazioni e le ultime vestigia.
Secondo testimonianze
storiche, essa era un vero e proprio colosso, alta quanto un edificio di
45 piani. La sua altezza infatti doveva aggirarsi intorno ai 120 - 130
metri e, come una torta nuziale, era composta da tre piani distinti,
sempre più stretti. Il primo, alto 60 metri, aveva una pianta quadrata ed
era molto largo. Il secondo era alto 30 metri e, sempre stando a racconti e
scritti di epoca antica, ricordava molto una torre a sezione ottagonale.
L'ultimo pezzo, di 15 metri, invece era costituito da una vera e propria
torre cilindrica sormontata da un'enorme statua, forse quella di
Alessandro il Grande o quella di Zeus Soter. L'ingresso al monumento non
era al livello del suolo, ma un po' rialzato, al termine di una rampa di
scalini. Si sa che il Faro attraversò diverse epoche storiche senza
grossi traumi e poco dopo l'anno 1000 era ancora in piedi. Ma, in
seguito, gli occupanti musulmani distrussero il terzo piano del Faro,
sostituendolo con una piccola moschea.
Nei tempi che seguirono il Faro
cadde in rovina, fino a trasformarsi in una vera e propria "cava di
pietre" per la realizzazione del forte, già citato, che si erge
ancora. Sul Faro di Alessandria si modellarono le altre torri consimili,
innalzate in età ellenistica e romana, in vari punti del Mediterraneo:
esse ebbero in generale un'altezza minore, furono suddivise in un numero
maggiore o minore di piani, ma il tipo rimane sempre il medesimo.
L'ultima
possibile raffigurazione del Faro prima della sua distruzione la
troviamo in un mosaico della volta della cappella di San Zeno in S.
Marco a Venezia, databile intorno al 1200. Mostra il Faro e una nave con
l'Evangelista al timone, mentre arriva ad Alessandria per fondare la
chiesa copto-cristiana in Egitto. Ad Alessandria la memoria del Faro è
mantenuta viva da una scultura moderna in marmo bianco che lo riproduce
insieme a Iside Faria, e accoglie i turisti che entrano nei giardini per
visitare le catacombe di Kom-es-Shafur.
Per
concludere bisogna dire che ora forse potremo finalmente rivedere una
copia di questo incredibile monumento: ciò potrebbe accadere infatti se
viene dato il via ad un progetto del governo egiziano per la sua
ricostruzione. Con un piccolo enigma da chiarire: come si farà a
conciliare la forma originale del Faro, comprendente una statua, cioè
una raffigurazione umana, con il Corano che, almeno teoricamente lo
proibisce.

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