Castello di Fénis
(Aosta)

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Il castello di Fénis, situato nell'omonimo comune, è uno dei più famosi manieri medievali della Valle d'Aosta. Noto per la sua architettura scenografica, con la doppia cinta muraria merlata che racchiude l'edificio centrale e le numerose torri, il castello è una delle maggiori attrazioni turistiche della regione ed uno dei castelli medievali meglio conservati in Italia.  

Diversamente da altri manieri della regione, quali Verrès e Ussel, costruiti in cima a promontori rocciosi per essere meglio difendibili, il castello di Fénis si trova in un punto del tutto privo di difese naturali. Questo porta a pensare che la sua funzione fosse di prestigiosa sede amministrativa della famiglia Challant-Fénis e che anche la doppia cinta muraria servisse soprattutto in funzione ostentativa, per intimidire e stupire la popolazione.

Già esistente nel XIII secolo, il castello acquista la sua fisionomia definitiva fra il 300 e il 400, in seguito a trasformazioni ed ampliamenti voluti dalla famiglia feudale degli Challant.

Dal punto di vista architettonico è uno dei più complessi. Il corpo centrale è chiuso da due ordini di mura e si può accedere all'interno del primo piano recinto passando nell'androne sotto la torre più antica del castello. Superato il primo ordine di mura occorre compiere un mezzo giro attorno alla cinta interna per trovare l'ingresso che permette di entrare nel piccolo cortile di forma trapezoidale, chiuso sui quattro lati dalle facciate interne coi balconi di legno.

Anche qui, come a Issogne, le pareti sono interamente affrescate con dipinti ispirati all'araldica e alla decorazione gotica. In fondo al cortiletto si trova lo scalone semicircolare che porta ai piani superiori. Sulla parete sopra lo scalone vi è l'affresco raffigurante San Giorgio che uccide il drago. Più in alto sono dipinte altre figure di santi protettori, tutti recanti strisce e nastri su cui sono scritti motti e massime morali. Le figure sono di notevoli fattura tardo gotica in  valle di Aosta. Sono opera di Giacomo Jaquerio e dei suoi discepoli, che li eseguirono tra il 1425 e il 1430.

Le stanze e le sale sono distribuite su tre piani fuori terra e ogni spazio ha una sua individualità compositiva. Degni di attenzione sono i grandi camini, presenti quasi in ogni ambiente; la sala del trono, con la cappella sul fondo magistralmente affrescata dal Jaquerio; e poi la cucina e poi la sala da pranzo. Tutti i locali sono arredati con autentici e preziosi mobili valdostani del XV e XVI secolo.  

Le origini - La nascita e le prime fasi di sviluppo del castello di Fénis continuano a restare del tutto sconosciute. All'estrema appendice sud-occidentale di quella splendida sequenza di prati dolcemente inclinati che si chiude, a sud, alle pendici del monte Saint Julien, col villaggio di Pommier, l'edificio occupa quella che sembra molto più la collocazione ideale per il centro direzionale di un'azienda agricola che non per una fortezza.

Come nel caso di Issogne è abbastanza immediato chiedersi se la sua origine più antica non possa essere stata una villa rurale romana, anche se, a differenza di Issogne dove questa origine è testimoniata archeologicamente, nulla permette di confermare quella che per ora resta una semplice ipotesi teorica.  

Il castello viene menzionato apertamente per la prima volta in un documento del 1242, nel quale un castrum Fenitii è indicato come proprietà del visconte di Aosta Gotofredo di Challant e dei suoi fratelli, facenti parte di una delle famiglie più importanti della Valle d'Aosta e vassalli dei Savoia, da cui ottennero anche il titolo visconteo. A quel tempo il maniero probabilmente comprendeva solo la torre colombaia sul lato sud e la torre quadrata, un corpo abitativo centrale e una singola cinta muraria.

Il castello di Aimone di Challant - Le fonti storico narrative antiche attribuiscono la "costruzione" del castello nel 1340 ad opera di Aimone di Challant.

Sicuramente il periodo che va dal 1320 al 1420 circa, che vede il susseguirsi delle due lunghissime signorie di Aimone e di suo figlio Bonifacio I, è determinante per l'edificio che assume veramente un assetto quasi definitivo. Possiamo considerare appurato che sia stato proprio Aimone, attorno al 1340, forse anche agganciandosi in parte ad edifici preesistenti, ad aver fatto assumere al nucleo centrale dell'edificio l'assetto attuale dalla pianta vagamente pentagonale.

L'intero perimetro esterno del corpo centrale del castello deve aver preso forma in questa occasione, fatta eccezione per la torre meridionale, a ridosso dell'ingresso, che nel 1340-1345 non doveva esistere ancora. Le cortine murarie del corpo erano quindi a quel tempo intervallate da tre sole torri fondate - invece delle attuali quattro -, quella dell'ingresso interno orientale, quella cilindrica dello spigolo nord-ovest, e il donjon occidentale, e dalle tre torrette pensili degli angoli sud-ovest, sud-est e nord-est. La torre cilindrica e il donjon erano ancora privi del coronamento a caditoie e più bassi di quanto non siano oggi.

Soprattutto completamente diverso doveva essere poi l'interno del castello. Entrando dal duplice portale alloggiato al piano terreno della torre prismatica orientale il visitatore doveva accedere ad un unico cortile di dimensioni più che doppie di quelle attuali. 

A pianta trapezoidale, questo cortile doveva essere fiancheggiato da due lunghi edifici, divergenti tra loro, corrispondenti agli attuali corpi nord e sud nella loro estensione completa, fino al muraglione occidentale. Le facciate di questi due edifici, probabilmente più basse di quelle attuali e forse percorse per tutta la loro lunghezza da un ballatoio, dovevano terminare contro il muraglione esterno ovest che doveva chiudere, col suo profilo merlato e col donjon incastonato al suo centro, il lato estremo della corte.

Rispetto ad oggi dovevano mancare tutto il secondo piano dell'edificio nonché tutto quel corpo fabbricato che sta dietro alla parete di fondo dell'attuale cortile.

Quello che è oggi il corpo di ingresso, col suo anticortile, coperto ma aperto verso la corte in due belle arcate acute, doveva essere invece sostituito da una semplice tettoia lignea, base dell'incastellatura di scale a pioli che dovevano permettere l'agibilità della torre di ingresso.

Nel castello si dovevano essere già condotte alcune campagne decorative.

Una malandata Madonna nello sguancio di un'antica monofora della grande sala potrebbe benissimo datarsi a quegli anni attorno al 1340 che devono aver visto la grande ricostruzione di Aimone.  

Il castello di Bonifacio I di Challant, il Maresciallo - Un'ulteriore tappa nello sviluppo del castello è data alla successiva signoria di Bonifacio I di Challant, figlio di Aimone.

Succeduto al padre nel governo del feudo nel 1387 Bonifacio non perdeva tempo. Dopo aver affinato le sue conoscenze tecniche rivestendo a corte, tra il 1390 e il 1391, la carica di ispettore alle fortificazioni, il nobile cominciava, nel 1392, a organizzare una ulteriore trasformazione del suo castello. Le operazioni condotte nell'edificio tra il 1393 e il 1395, consistevano in un riallineamento di tutti i livelli orizzontali interni. Nel corpo nord non dovevano esistere interrati e il piano basso doveva trovarsi di quasi un metro sopra il piano di calpestio del cortile.

Si scavava il grande seminterrato; si abbassava il piano basso allineandolo al cortile; si abbassava in conseguenza anche il livello della sala maggiore; la si ampliava unificandola ad un vano minore ad essa adiacente verso sud, ricavando la cappella; si realizzava un nuovo piano al di sopra, nel sotto tetto, rifacendo tutte le coperture. Operazioni di riallineamento erano condotte anche nel corpo meridionale. Si costruiva il corpo di ingresso e, soprattutto, si finiva di chiudere, costruendovi un ulteriore serie di vani sovrapposti, la parte occidentale del cortile che solo ora assumeva la sua planimetria definitiva. Il cortile veniva, infine, arredato con i due piani di ballatoi e con lo splendido scalone. Si lavorava però anche all'esterno del corpo centrale, sistemando tratte di mura e soprattutto allestendo una prigione in quello che veniva chiamato regolarmente "rivellino", che si può identificare nel gruppo delle tre torri di ingresso, in particolare nella più tarda torre mediana.

Gli affreschi di Fénis - Terminata poco dopo il 1395 la campagna costruttiva, Bonifacio di Challant dovette trascurare il suo castello per un certo numero di anni.

Il suo ruolo politico e la sua personalità lo portavano in giro per l'Europa e fino in oriente a Santa Caterina del Sinai, dove dovette recarsi in pellegrinaggio, probabilmente tra il 1407 e il 1408. 

Nel 1409 fu eletto all'ordine dell'Annunziata, mentre nel 1410, 1412, 1414, toccava il culmine della propria carriera politico-diplomatica guidando una serie di ambasciate che dovevano mediare tra i re di Francia e di Inghilterra e i duchi di Berry, di Borbone, di Borgogna, impegnati in una delle fasi più cruente e complicate della guerra dei Cent'anni.

È a seguito di queste vicende che Bonifacio trovò l'occasione per compiere un ultimo intervento al castello, questa volta solo decorativo, ordinando i cicli di affreschi che ricoprono le pareti del cortile e della cappella.

Non si è concordi sull'intervento diretto o meno del maestro gotico internazionale piemontese: Giacomo Jaquerio, anche se i cartoni usati sembrano a tutti gli effetti quelli jaqueriani. Si potrebbe comunque benissimo immaginare uno Jaquerio che arriva a Fénis con alcuni collaboratori, organizza il cantiere e riparte subito per andare ad occuparsi di altri lavori affidando l'intera esecuzione dell'opera ai suoi collaboratori. L'opera di Jaquerio è ipotizzabile tra il 1414 e il 1430.

L'inizio del declino. Fénis al tempo di Bonifacio II e di Aimone II - Aimone prima e suo figlio Bonifacio "il maresciallo" poi, con i loro lunghissimi feudi che, sommati, durarono di fatto più di un secolo,  segnano sicuramente il culmine della fortuna economica e politica e anche del prestigio di Fénis.

Dopo la morte di Bonifacio I le fortune del ramo della famiglia Challant proprietario del castello si ridussero considerevolmente.

Bonifacio II, succeduto al padre nel 1426, resse il feudo per quasi cinquant'anni, fino al 1469. Appare però come figura di secondo piano, di grandi ambizioni ma di modesto acume politico. La vita di Bonifacio II appare sconvolta dalle beghe e dalle liti di famiglia. Oltre all'esplodere della guerra di successione Challant, deve fare i conti con i continui contrasti che lo contrappongono ai suoi numerosi figli: tredici documentati tra legittimi e illegittimi.

Quello che sembra aver più amato, Giovanni, primo marito della famosa Caterina di Challant, sarebbe morto, probabilmente epilettico, nel 1446; Guglielmo, prima eletto suo successore e poi diseredato, gli sarebbe nuovamente premorto, nel 1457; il feudo sarebbe quindi passato all'altro figlio Aimone, secondo di questo nome, che lo avrebbe gestito fino al 1486.

Alla sua morte senza eredi, feudo e castello sarebbero tornati nella linea di Guglielmo, al suo primogenito, Umberto, fino al 1513.  

Il Cinquecento e il Seicento. Le ultime trasformazioni del castello - Dopo la morte di Umberto, nipote di Aimone II, nel 1513, il feudo e il castello di Fénis passano ai suoi figli. Gaspare, primogenito, riceve il feudo francese di Montbreton, Carlo quello valdostano di Fénis.

È da Carlo che si staccheranno i due rami della famiglia in cui la stirpe degli Challant sopravvivrà fino alla fine del Settecento.

Quello primogenito, titolare proprio del feudo di Fénis, discende dal figlio maggiore di Carlo, Francesco, che avrebbe gestito il potere dalla morte del padre, nel 1556, per mezzo secolo, fino al 1606.

A Francesco sarebbero succeduti uno dopo l'altro il figlio Giovanni Prospero, fino al 1630, il nipote Claudio Leonardo, morto nel 1650, e infine il bisnipote Antonio Gaspare Felice, morto nel 1705.

Le tracce degli interventi di tutti questi personaggi sul corpo del castello sono però veramente minime e si riducono a piccoli frammenti decorativi isolati, sparsi nelle diverse sale dell'edificio.

Al Seicento sembrerebbero doversi assegnare l'albero genealogico dipinto al secondo piano sul cortile e gli affreschi con paesaggi locali della fascia superiore della sala bassa dell'ala meridionale.

Il Settecento e la prima metà dell'Ottocento: dal declino al degrado, da castello a casa colonica - Quello che appare certo è che, a parte i limitati interventi decorativi citati, il XVI e il XVII secolo per il castello dovettero segnare un lungo periodo forse non di degrado ma quanto meno di stasi e di amministrazione assolutamente ordinaria.

Il degrado vero e proprio iniziava nel  XVIII secolo.

Alla morte di Antonio Gaspare Felice, nel 1705, Fénis passava al ramo cadetto degli Challant Châtillon, in particolare a Giorgio Francesco che, però, oberato di debiti, era costretto a venderlo per il prezzo di 90.000 lire, nel 1716, ai Saluzzo Paesana.

Un certificato catastale redatto al momento dell'ultima vendita di fine Ottocento allo Stato, riassume brevemente un secolo di passaggi di proprietà. Il castello restava in proprietà ai Saluzzo Paesana fino al 23 maggio 1798, giorno in cui veniva acquistato da Pietro Gaspare Ansermin. Questi lo lasciava in eredità al figlio Costantino Ansermin il 3 giugno 1810. A sua volta, questi, morendo il 12 agosto 1837, lo lasciava alla propria figlia Maria Genoveffa. Questa lo deteneva fino al 1863. Quell'anno, in data 3 agosto, lo vendeva a Michele Baldassarre Rosset, di Quart.

L'ultimo passaggio di proprietà è datato 21 maggio 1894, quando il Rosset, "per anticipazione di eredità" donava il castello ai suoi figli Cesare e Michele. Successivamente, il 2 settembre 1895 "il medesimo castello colle sue adiacenze" entrava in proprietà di un terzo figlio del Rosset, Giuseppe, diplomatico che allora rivestiva il ruolo di console italiano ad Odessa. Doveva però trattarsi di un semplice passaggio di comodo perché il giorno dopo, 3 settembre dello stesso 1895, il console Giuseppe Rosset vendeva il castello allo Stato italiano "a mezzo del sig. comm. d'Andrade".

Ridotto, già al tempo dei Paesana, al ruolo di casa colonica, il castello era stato davvero privato - in quasi tutte le sue parti - anche dell'ordinaria manutenzione. Pavimenti e soffitti erano pericolanti o del tutto scomparsi. Fatiscenti quasi tutti i tetti. Crollate o in via di crollo diverse tratte delle cinte murarie e crollata almeno una torre, quella adiacente all'ingresso esterno.

L'Ottocento. Alfredo d'Andrade e la riscoperta di Fénis: da casa colonica a Monumento nazionale - L'acquisto del castello da parte dello Stato italiano da un lato può considerarsi il primo atto dell'ultima fase della vita dell'edificio; da un altro lato, però, era già l'atto conclusivo di una lunga riscoperta.

Nell'agosto del 1865 a Fénis, arrivava per la prima volta Alfredo d'Andrade, giovane aspirante pittore portoghese da poco stabilitosi in Piemonte.

Il ruolo di d'Andrade fu, notoriamente, fondamentale nella riscoperta e soprattutto nel salvataggio del castello.

Il viaggio del 1865 fu una prima presa di contatto ma il castello doveva aver fortemente impressionato il giovane.

Dal 1882 inizia la seconda fase che vede Fénis al centro dell'attenzione in quanto elemento qualificante di quello che sarebbe stato il progetto del "castello medievale" da costruirsi per l'esposizione di Torino del 1884.

Anche dopo l'inaugurazione dell'esposizione l'interesse di d'Andrade per Fénis non scemava. Dal 1884 all'88 sono documentate sue visite annuali, da ognuna delle quali d'Andrade rientrava col suo bel gruzzolo di disegni, rilievi, schizzi.

È verosimile che proprio nel corso di questi viaggi maturasse l'idea dell'acquisizione del castello che entrava in fase operativa due anni dopo.

È lo stesso d'Andrade a riferire al 1890 le prime trattative con i Rosset per l'acquisto dell'edificio. Dopo alterne vicende queste si concludevano nel 1895 e, come previsto dal contratto, lasciati passare due anni necessari al trasferimento della casa colonica alloggiata nell'edificio, d'Andrade ne prendeva ufficialmente possesso a nome dello Stato, nella sua veste di Direttore dell'Ufficio per la conservazione dei monumenti, il 3 settembre 1897.

Con la collaborazione di De Marchis, che si insediava nel castello come custode factotum, d'Andrade cominciava a impostare il recupero fisico e statico dell'edificio, che si sarebbe protratto per decenni.  

Il Novecento. I restauri del castello - La situazione doveva essere davvero disastrosa ed è documentata da una serie di fotografie conservate negli archivi della Soprintendenza ai Beni artistici del Piemonte. Le prime operazioni erano di vera e propria messa in sicurezza e di sistemazione delle infrastrutture che sarebbero poi state necessarie ai lavori successivi. Nello stesso 1897 si tracciava la nuova strada di accesso al castello da est.

Nel 1898 si alzava un parafulmine su una delle torri. Contemporanei erano i primi interventi urgenti diretti da Bertea: "mura a secco per sostenere la strada, un canale per regolare il deflusso delle acque piovane, la sistemazione dei tetti del grande torrione della cinta esterna, della torre quadrata occidentale, del salone della cappella, della torre colombaia".

Le direttive fissate in queste prime campagne di intervento al castello sarebbero valse di fatto per due decenni, anche quando, partito d'Andrade, ormai vecchio e malato, per Genova, i lavori sarebbero passati sotto la conduzione di Seglie.

La scelta di fondo era quella di piccoli interventi, spesso di fortuna, altamente selezionati in rapporto alle più immediate esigenze di conservazione. Non c'è dubbio che l'opzione era fissata, di fatto imposta, dalle scarse disponibiltà economiche. Gli stanziamenti documentati si aggiravano mediamente nell'ordine delle duemila lire.

Sta di fatto che i lavori comunque procedevano. Dopo aver rifatto tutti i tetti e ripassato le murature pericolanti, mettendo così in sicurezza l'edificio, i tecnici della soprintendenza passavano al rifacimento dei solai, alla realizzazione di nuovi serramenti, al consolidamento delle cinte murarie esterne. Quando il 30 giugno del 1920 queste ultime campagne condotte da Seglie si concludevano il degrado poteva dirsi ormai arrestato e il castello di fatto salvato.

Purtroppo la correttezza del grande restauro di D'Andrade-Bertea-Seglie del 1897-1920 sarebbe poi stata cancellata dalla successiva campagna De Vecchi-Mesturino condotta, dopo D'Andrade, negli anni tra la prima e la seconda guerra mondiale, per la precisione con inizio nel 1935. A questa fase risale anche il riarredo del castello.

A tutte queste diverse campagne, a partire dal 1897 ovviamente, avrebbe partecipato ancora una volta buona parte della popolazione del comune.

Da qui comincia la storia più recente del castello di Fénis, che è quella, fino ad oggi, di monumento amato e visitato da valdostani e turisti.

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Architettura

Giuseppe Giacosa nel suo I Castelli Valdostani descrive il castello di Fénis come segue: «Di fuori è un fascio di torri che si accavalcano, le une quadrate e tozze, le altre rotonde, sottili, tutte merlate, armate, irabertescate, irte di aggetti d'ogni maniera, che sembrano minacciare soprusi e violenze, che sfidano il viandante e gli gridano: fuori, che frastagliano il cielo con bizzarri profili. Dentro è un chiostro raccolto, silenzioso, tutto ombre, sobrio e corretto nelle insolite forme e nei ricchi colori. A vederlo di lontano ha un'aria petulante di spavaldo; a chi v' entra, spira la calma dei forti»

Il castello è costituito da un corpo centrale di forma pentagonale, probabilmente dovuta alla necessità di inglobare strutture preesistenti e di seguire le irregolarità del terreno, circondato da una doppia cinta muraria merlata lungo la quale sono posizionate diverse torrette collegate tra loro da un cammino di ronda. Le torri più grandi, a sud e a ovest, sono munite di feritoie per frecce, e beccatelli a sostegno della parte più alta. Il muro rivolto a nord, verso la strada maestra che attraversava la valle e quindi il più esposto a eventuali attacchi, era dotato di quattro torrette circolari, divenute cinque in seguito ai restauri degli anni trenta. Si accede all'interno della struttura attraverso un portale che si apre nelle mura del lato a sud e passa vicino a una delle torri più antiche del maniero. Questo ingresso è stato realizzato durante la ristrutturazione degli anni trenta, mentre l'accesso originale si trovava probabilmente nei pressi della torre quadrata sul lato ovest.

Superata la cinta muraria ci si ritrova in un cortile chiuso, che circonda la struttura centrale. Sul lato nord-est di questo cortile è presente un edificio rettangolare un tempo adibito a scuderia, mentre l'accesso al corpo abitativo centrale si trova in corrispondenza della torretta a metà del lato est. Il corpo centrale si sviluppa su tre piani, che circondano un cortile interno quadrangolare, oltre al seminterrato dove erano situate le cantine e le prigioni. Il piano terreno era destinato alla guarnigione del castello e a locali di servizio: vi si trovavano in particolare il corpo di guardia, la cucina e una sala da pranzo. Il primo piano era riservato ai signori del castello e ospitava una cucina, le stanze dei signori, il tribunale e la cappella. Il secondo piano infine era destinato alla servitù e agli ospiti del maniero. Il maniero poteva accogliere complessivamente circa sessanta persone tra la famiglia del signore, eventuali ospiti, guarnigione e personale di servizio.

Percorrendo lo spazio entro la prima cinta muraria del castello si notano in alto, scolpite in pietra sulle mura, alcune maschere aventi funzione apotropaica.  

Pianta del castello di Fénis.

E' possibile notare la doppia cinta muraria con l'accesso da sud, il cortile interno (1), e la sala da pranzo (3)

Il cortile - Centro del corpo abitato centrale è il piccolo cortile di forma quadrangolare realizzato da Bonifacio I tra la fine del XIV e l'inizio del XV secolo. 

Al centro del cortile si trova un caratteristico scalone semicircolare in pietra, sulla cui sommità svetta un affresco raffigurante San Giorgio che uccide il drago, realizzato intorno al 1415 e attribuito alla bottega di Giacomo Jaquerio. Il tema di San Giorgio e il drago era molto diffuso al tempo in Valle d'Aosta, in quanto era considerato un'incarnazione dell'ideale cavalleresco. Sull'affresco si può notare il monogramma BMS, interpretato come le iniziali del committente, Bonifacium Marexallus Sabaudiae.

Il cortile, le cui pareti sono interamente affrescate da decorazioni in stile gotico internazionale, è circondato su tre lati da una doppia balconata in legno in corrispondenza dei due piani superiori. Lungo le pareti della balconata si snoda una serie di saggi, uno diverso dall'altro, che reggono pergamene riportanti proverbi e massime morali scritte in francese antico. 

Un tempo in corrispondenza di ognuno dei saggi era indicato il nome del personaggio raffigurato, ma la maggior parte di essi sono ormai illeggibili, tra questi saggi è raffigurato anche un personaggio in costume arabo, probabilmente per ricordare la partecipazione di Challant a una crociata.  

Tra i proverbi e le massime morali è possibile citare:

(FR) «Il n'est pas sire de son pais / qui de ses homes est hais / bon doit estre sire sclamés / qui de ses freres est amés.»

(IT) «Non è signore del suo paese / chi è odiato dai suoi soggetti / ma deve essere proclamato signore / chi è amato dai propri fratelli

(FR) «Se uns homs avoit a goeverner / le ciel la terre et la mer / et tous hommes que Dieu a fais / ni aroit riens cil navait paix.»

(IT) «Se un uomo avesse sotto di sé / il cielo, la terra e il mare / e tutti gli uomini che Dio ha creato / non avrebbe niente se non avesse pace

In un angolo del cortile si trova anche una sorta di profezia:

(LA) «Maneat domus donec formica aequot bibat et lenta testudo totum perambulet orbem

(IT) «Duri questa casa, finché la formica abbia bevuto il mare e la lenta testuggine abbia tutta aggirata la terra

Su uno dei muri del castello è stata trovata anche una poesia, in francese antico, attribuita a Bonifacio I e scritta in occasione delle nozze di sua figlia Bona con il signore di Uriage Jean Allamant e la sua conseguente partenza, considerata uno dei più antichi esempi scritti della lingua francese parlata nella zona alla fine del Medioevo.

(FR) «Pauvre oyseillon qui de chez moi
t'envoles si loin de la Doyre
en ton cuer conserve memoyre
de qui prie et pleure pout toi.
B.C. xx nov. MCCCCII.»
(IT) «Povero passerotto che da casa mia
voli così lontano dalla Dora
serba in cuor tuo il ricordo
di chi prega e piange per te.
B.C. 20 nov. 1402

La parete più stretta del cortile, di fronte all'affresco di San Giorgio, fu decorata nella seconda metà del XV secolo dal pittore Giacomino da Ivrea su incarico di Bonifacio II di Challant, figlio di Bonifacio I, e raffigura i santi Uberto, Bernardo, un santo vescovo (forse San Teodulo), Santa Apollonia e Sant'Ambrogio, un'Annunciazione e dei motivi vegetali. Sotto di essi si trova un monumentale San Cristoforo, la cui attribuzione è resa difficile dai pesanti restauri subiti. Essendo San Cristoforo il protettore dei viaggiatori la sua presenza nei pressi dell'uscita del castello voleva forse essere un augurio di buon viaggio nei confronti di chi lasciava il maniero.

Il cortile del castello di Fénis fu usato da Alfredo d'Andrade come modello per la Rocca del Borgo Medievale di Torino, realizzato in occasione dell'Esposizione Generale Italiana Artistica e Industriale del 1884. Il cortile della Rocca Medievale riproduce fedelmente lo scalone semicircolare, le balconate in legno, gli affreschi dei santi e San Giorgio che uccide il drago.

Il piano terra - Dal cortile si accede a una grande stanza rettangolare che occupa gran parte del lato nord del piano terra. Questa stanza, menzionata come "grande salle basse" in un inventario redatto nel 1551 è oggi chiamata sala d'armi per la presenza di una rastrelliera per picche. Il locale era anche dotato di un trabocchetto per i condannati a morte, che consisteva in un pozzo con le pareti ricoperte da lame ricavato nella torretta circolare nell'angolo nord-ovest. Attualmente nella stanza si trova un plastico del castello e un grande camino in pietra addossato alla parete di fondo. Il soffitto in legno di questa come della maggior parte delle altre sale è stato rifatto durante i lavori di restauro del XX secolo, mentre i camini in pietra fanno parte dell'arredo originale del castello.

Dalla sala d'armi si accede alla sala da pranzo, così chiamata in seguito all'allestimento del museo del 1936, mentre l'inventario del 1551 la definisce “chambre basse”. Nella stanza si trovano alcuni tavoli e sedie del XVI – XVII secolo.

Adiacente alla sala da pranzo si trova quella che doveva essere la cucina principale del castello, come suggerisce la presenza di un monumentale camino, la cui funzione doveva essere, oltre la cottura dei cibi, anche quella di riscaldare le stanze dei piani superiori e anche la sala delle riunioni. La stanza è stata arredata con vari tipi di credenze in legno.

Il lato sud del piano ospitava il pozzo della cisterna per l'acqua piovana, la legnaia e altri locali di servizio. Attualmente vi si trovano un carro agricolo e una serie di bauli e forzieri.  

Pianta del secondo piano del castello. Si notano la "chambre des tolles" (5) e il suo cabinet (4), il tribunale (6), la cucina superiore (7), la "chambre blance" (8) e la cappella (9)

Il primo piano - Il primo piano, il più elegante e meno freddo del maniero, era riservato ai signori del castello. Qui si trovavano le loro stanze private, gli ambienti di rappresentanza e la cappella. Sul lato nord, in corrispondenza della cucina del piano terra, si trova un locale che la presenza di un grande camino e di un acquaio fa ritenere una seconda cucina, attualmente arredata con una serie di sedie, sedili e una coppia di panconi ottocenteschi di stile tardogotico.

A fianco della cucina si trova quella che è definita come la camera da letto del signore del castello, chiamata "chambre blanche" nell'inventario del 1551. Il muro in comune con la cucina ospita un grande camino in pietra con dipinto lo stemma della famiglia Challant. La stanza ospita una serie di contenitori e cassoni intarsiati e un letto a baldacchino con colonne tortili, riproduzione di un modello toscano della fine del XVI secolo.

Al centro del lato sud si trovano la stanza che nell'inventario del 1551 è definita “chambre des tolles”, arredata con alcuni cassoni a doppia facciata caratterizzati da una facciata decorativa sul lato anteriore, e l'adiacente “cabinet de la chambre des tolles”, che ospita un letto e un cassone del XVI secolo e una cassapanca ottocentesca, provenienti dalla collezione dell'industriale Riccardo Gualino. 

Giustino Boson nel suo libro Il castello di Fénis chiama queste due stanze rispettivamente “sala da pranzo” e “camera della signora”. Una chiara identificazione della destinazione dei locali è resa difficile dal fatto che quasi tutto il mobilio originale è andato perduto nel tempo e che diverse stanze hanno cambiato la loro funzione nel corso dei secoli.

L'angolo a sud ovest del piano è occupato dalla stanza definita “poelle”, ossia stanza riscaldata, e oggi chiamata tribunale. Il nome attuale deriva dalla presenza sul camino di un affresco raffigurante le quattro virtù cardinali (Fortezza, Prudenza, Temperanza e infine Giustizia, che svetta sulla altre) e lo stemma di Emanuele Filiberto I o di Carlo Emanuele I, duchi di Savoia tra il 1559 e il 1630. Nella stanza si trovano attualmente alcuni cassoni da corredo acquistati negli anni trenta a Saluzzo.

La cappella - L'intero lato nord del primo piano è occupato da una lunga sala rettangolare definita cappella, uno degli ambienti più suggestivi del castello. In passato la sala era probabilmente divisa in due da una grata lignea analoga a quella presente nel castello di Issogne, che separava la cappella vera e propria dal locale di rappresentanza chiamato “salle de la chapelle”. Il lato occidentale ospita un grande camino in pietra e le pareti dei lati lunghi e a ovest sono decorate con motivi geometrici eseguiti durante il restauro del XX secolo sulla base di un frammento del XIV secolo rinvenuto da Alfredo d'Andrade nei pressi del camino. La stanza è arredata con una serie di mobili in stile tardogotico.

Il lato est della grande sala ospitava probabilmente la cappella privata dei signori del castello. L'inizio del locale è evidenziato da una trave che attraversa trasversalmente la grande sala rettangolare. In corrispondenza di essa si trova un pregiato crocifisso ligneo che i recenti restauri hanno permesso di attribuire alla bottega del Maestro della Madonna di Oropa, dalla quale provengono diverse sculture sacre destinate a chiese valdostane tra la fine del XIII secolo e i primi anni del XIV secolo.

Diversamente dalla decorazione geometrica del resto della stanza, le pareti laterali della cappella sono completamente affrescate con figure di santi e apostoli disposte su due file sovrapposte. La parete di fondo è divisa in due da una grande finestra ai cui lati si trovano sulla destra una crocifissione e sulla sinistra una Madonna della Misericordia.

Ai piedi della Madonna, protetti dal suo mantello, vi sono due gruppi di fedeli separati in laici (sulla destra di chi guarda) e religiosi (sulla sinistra di chi guarda). Tra di essi è possibile riconoscere diverse figure dell'epoca, tra i quali il Papa e l'Imperatore, disposti immediatamente a fianco della Vergine come capofila rispettivamente dei religiosi e dei laici, e alcuni membri della famiglia Challant, come il committente delle opere Bonifacio I (nel gruppo dei laici vestito con un abito rosso), il fratello di Bonifacio Amedeo di Challant-Aymavilles e la sua giovane sposa Luisa di Miolans.

Gli affreschi della cappella, così come la maggior parte di quelli del cortile, sono stati realizzati in stile gotico internazionale nei primi decenni del XV secolo e attribuiti alla scuola del maestro piemontese Giacomo Jaquerio. Non è certo se Jaquerio abbia lavorato di persona alle opere, mentre sembra sicuro l'uso dei modelli Jaqueriani.

I recenti restauri eseguiti sugli affreschi della cappella hanno messo in evidenza alcuni dettagli che fanno pensare a una certa fretta di concludere il lavoro, come la presenza nell'affresco della crocifissione della traccia di una figura in armatura inginocchiata, mai realizzata.

Il secondo piano e il tetto - Il secondo piano del castello, non accessibile durante le visite guidate, era raggiungibile attraverso una scala a chiocciola. Esso era destinato agli alloggi della servitù, dei soldati, alle camere per gli ospiti e alle soffitte. Dal secondo piano, attraverso la torre del lato ovest, era possibile salire sul tetto dove si trovava un cammino di ronda.

Il tetto, in lose di pietra, è caratterizzato da un doppio spiovente, la parte interna del quale convoglia l'acqua verso il cortile centrale sottostante dove poteva essere raccolta nella cisterna.