Il
castello di Fénis,
situato nell'omonimo
comune, è
uno dei più
famosi manieri medievali della Valle
d'Aosta.
Noto per la sua
architettura
scenografica, con
la doppia cinta
muraria merlata che
racchiude
l'edificio
centrale e le
numerose torri,
il castello è una
delle maggiori
attrazioni
turistiche della
regione ed
uno dei castelli medievali meglio
conservati in Italia.
Diversamente
da altri manieri
della regione,
quali Verrès e Ussel,
costruiti in cima
a promontori
rocciosi per
essere meglio
difendibili, il
castello di Fénis
si trova in un
punto del tutto
privo di difese
naturali. Questo
porta a pensare
che la sua
funzione fosse di
prestigiosa sede
amministrativa
della famiglia
Challant-Fénis e
che anche la
doppia cinta
muraria servisse
soprattutto in
funzione
ostentativa, per
intimidire e
stupire la
popolazione.
Già
esistente nel XIII
secolo, il castello
acquista la sua
fisionomia definitiva
fra il 300 e il 400, in
seguito a trasformazioni
ed ampliamenti voluti
dalla famiglia feudale
degli Challant.
Dal
punto di vista
architettonico è uno
dei più complessi. Il
corpo centrale è chiuso
da due ordini di mura e
si può accedere
all'interno del primo
piano recinto passando
nell'androne sotto la
torre più antica del
castello. Superato il
primo ordine di mura
occorre compiere un
mezzo giro attorno alla
cinta interna per
trovare l'ingresso che
permette di entrare nel
piccolo cortile di forma
trapezoidale, chiuso sui
quattro lati dalle
facciate interne coi
balconi di legno.
Anche qui, come a
Issogne, le pareti sono
interamente affrescate
con dipinti ispirati
all'araldica e alla
decorazione gotica. In
fondo al cortiletto
si trova lo scalone
semicircolare che porta
ai piani superiori.
Sulla parete sopra lo
scalone vi è l'affresco
raffigurante San Giorgio
che uccide il drago. Più
in alto sono dipinte
altre figure di santi
protettori, tutti
recanti strisce e nastri
su cui sono scritti
motti e massime morali.
Le figure sono di
notevoli fattura tardo
gotica in valle di
Aosta. Sono opera di
Giacomo Jaquerio e dei
suoi discepoli, che li
eseguirono tra il 1425 e
il 1430.
Le stanze e le sale sono
distribuite su tre piani
fuori terra e ogni
spazio ha una sua
individualità
compositiva. Degni di
attenzione sono i grandi
camini, presenti quasi
in ogni ambiente; la
sala del trono, con la
cappella sul fondo
magistralmente
affrescata dal Jaquerio;
e poi la cucina e poi la
sala da pranzo. Tutti i
locali sono arredati con
autentici e preziosi
mobili valdostani del XV
e XVI secolo.
Le
origini - La nascita
e le prime fasi di
sviluppo del castello di
Fénis continuano a
restare del tutto
sconosciute. All'estrema
appendice
sud-occidentale di
quella splendida
sequenza di prati
dolcemente inclinati che
si chiude, a sud, alle
pendici del monte Saint
Julien, col villaggio di
Pommier, l'edificio
occupa quella che sembra
molto più la
collocazione ideale per
il centro direzionale di
un'azienda agricola che
non per una fortezza.
Come
nel caso di Issogne è
abbastanza immediato
chiedersi se la sua
origine più antica non
possa essere stata una
villa rurale romana,
anche se, a differenza
di Issogne dove questa
origine è testimoniata
archeologicamente, nulla
permette di confermare
quella che per ora resta
una semplice ipotesi
teorica.
Il
castello viene
menzionato apertamente
per la prima volta in un
documento del 1242, nel
quale un castrum
Fenitii è indicato
come proprietà del visconte
di Aosta Gotofredo
di Challant e
dei suoi fratelli,
facenti parte di una
delle famiglie più
importanti della Valle
d'Aosta e vassalli dei Savoia,
da cui ottennero anche
il titolo visconteo. A
quel tempo il maniero
probabilmente
comprendeva solo la torre
colombaia sul
lato sud e la torre
quadrata, un corpo
abitativo centrale e una
singola cinta
muraria.
Il
castello di Aimone di
Challant - Le
fonti storico narrative
antiche attribuiscono la
"costruzione"
del castello nel 1340 ad
opera di Aimone di
Challant.
Sicuramente
il periodo che va dal
1320 al 1420 circa, che
vede il susseguirsi
delle due lunghissime
signorie di Aimone e di
suo figlio Bonifacio I,
è determinante per
l'edificio che assume
veramente un assetto
quasi definitivo.
Possiamo considerare
appurato che sia stato
proprio Aimone, attorno
al 1340, forse anche
agganciandosi in parte
ad edifici preesistenti,
ad aver fatto assumere
al nucleo centrale
dell'edificio l'assetto
attuale dalla pianta
vagamente pentagonale.
L'intero
perimetro esterno del
corpo centrale del
castello deve aver preso
forma in questa
occasione, fatta
eccezione per la torre
meridionale, a ridosso
dell'ingresso, che nel
1340-1345 non doveva
esistere ancora. Le
cortine murarie del
corpo erano quindi a
quel tempo intervallate
da tre sole torri
fondate - invece delle
attuali quattro -,
quella dell'ingresso
interno orientale,
quella cilindrica dello
spigolo nord-ovest, e il
donjon occidentale, e
dalle tre torrette
pensili degli angoli
sud-ovest, sud-est e
nord-est. La torre
cilindrica e il donjon
erano ancora privi del
coronamento a caditoie e
più bassi di quanto non
siano oggi.
Soprattutto
completamente diverso
doveva essere poi
l'interno del castello.
Entrando dal duplice
portale alloggiato al
piano terreno della
torre prismatica
orientale il visitatore
doveva accedere ad un
unico cortile di
dimensioni più che
doppie di quelle
attuali.
A pianta
trapezoidale, questo
cortile doveva essere
fiancheggiato da due
lunghi edifici,
divergenti tra loro,
corrispondenti agli
attuali corpi nord e sud
nella loro estensione
completa, fino al
muraglione occidentale.
Le facciate di questi
due edifici,
probabilmente più basse
di quelle attuali e
forse percorse per tutta
la loro lunghezza da un
ballatoio, dovevano
terminare contro il
muraglione esterno ovest
che doveva chiudere, col
suo profilo merlato e
col donjon incastonato
al suo centro, il lato
estremo della corte.
Rispetto
ad oggi dovevano mancare
tutto il secondo piano
dell'edificio nonché
tutto quel corpo
fabbricato che sta
dietro alla parete di
fondo dell'attuale
cortile.
Quello
che è oggi il corpo di
ingresso, col suo
anticortile, coperto ma
aperto verso la corte in
due belle arcate acute,
doveva essere invece
sostituito da una
semplice tettoia lignea,
base dell'incastellatura
di scale a pioli che
dovevano permettere
l'agibilità della torre
di ingresso.
Nel
castello si dovevano
essere già condotte
alcune campagne
decorative.
Una
malandata Madonna nello
sguancio di un'antica
monofora della grande
sala potrebbe benissimo
datarsi a quegli anni
attorno al 1340 che
devono aver visto la
grande ricostruzione di
Aimone.
Il
castello di Bonifacio I
di Challant, il
Maresciallo
- Un'ulteriore
tappa nello sviluppo del
castello è data alla
successiva signoria di
Bonifacio I di Challant,
figlio di Aimone.
Succeduto
al padre nel governo del
feudo nel 1387 Bonifacio
non perdeva tempo. Dopo
aver affinato le sue
conoscenze tecniche
rivestendo a corte, tra
il 1390 e il 1391, la
carica di ispettore alle
fortificazioni, il
nobile cominciava, nel
1392, a organizzare una
ulteriore
trasformazione del suo
castello. Le operazioni
condotte nell'edificio
tra il 1393 e il 1395,
consistevano in un
riallineamento di tutti
i livelli orizzontali
interni. Nel corpo nord
non dovevano esistere
interrati e il piano
basso doveva trovarsi di
quasi un metro sopra il
piano di calpestio del
cortile.
Si
scavava il grande
seminterrato; si
abbassava il piano basso
allineandolo al cortile;
si abbassava in
conseguenza anche il
livello della sala
maggiore; la si ampliava
unificandola ad un vano
minore ad essa adiacente
verso sud, ricavando la
cappella; si realizzava
un nuovo piano al di
sopra, nel sotto tetto,
rifacendo tutte le
coperture. Operazioni di
riallineamento erano
condotte anche nel corpo
meridionale. Si
costruiva il corpo di
ingresso e, soprattutto,
si finiva di chiudere,
costruendovi un
ulteriore serie di vani
sovrapposti, la parte
occidentale del cortile
che solo ora assumeva la
sua planimetria
definitiva. Il cortile
veniva, infine, arredato
con i due piani di
ballatoi e con lo
splendido scalone. Si
lavorava però anche
all'esterno del corpo
centrale, sistemando
tratte di mura e
soprattutto allestendo
una prigione in quello
che veniva chiamato
regolarmente
"rivellino",
che si può identificare
nel gruppo delle tre
torri di ingresso, in
particolare nella più
tarda torre mediana.
Gli
affreschi di Fénis - Terminata
poco dopo il 1395 la
campagna costruttiva,
Bonifacio di Challant
dovette trascurare il
suo castello per un
certo numero di anni.
Il
suo ruolo politico e la
sua personalità lo
portavano in giro per
l'Europa e fino in
oriente a Santa Caterina
del Sinai, dove dovette
recarsi in
pellegrinaggio,
probabilmente tra il
1407 e il 1408.
Nel 1409
fu eletto all'ordine
dell'Annunziata, mentre
nel 1410, 1412, 1414,
toccava il culmine della
propria carriera
politico-diplomatica
guidando una serie di
ambasciate che dovevano
mediare tra i re di
Francia e di Inghilterra
e i duchi di Berry, di
Borbone, di Borgogna,
impegnati in una delle
fasi più cruente e
complicate della guerra
dei Cent'anni.
È
a seguito di queste
vicende che Bonifacio
trovò l'occasione per
compiere un ultimo
intervento al castello,
questa volta solo
decorativo, ordinando i
cicli di affreschi che
ricoprono le pareti del
cortile e della
cappella.
Non
si è concordi
sull'intervento diretto
o meno del maestro
gotico internazionale
piemontese: Giacomo
Jaquerio, anche se i
cartoni usati sembrano a
tutti gli effetti quelli
jaqueriani. Si potrebbe
comunque benissimo
immaginare uno Jaquerio
che arriva a Fénis con
alcuni collaboratori,
organizza il cantiere e
riparte subito per
andare ad occuparsi di
altri lavori affidando
l'intera esecuzione
dell'opera ai suoi
collaboratori.
L'opera di Jaquerio è
ipotizzabile tra il 1414
e il 1430.
L'inizio
del declino. Fénis al
tempo di Bonifacio II e
di Aimone II - Aimone
prima e suo figlio
Bonifacio "il
maresciallo" poi,
con i loro lunghissimi
feudi che, sommati,
durarono di fatto più
di un secolo,
segnano sicuramente il
culmine della fortuna
economica e politica e
anche del prestigio di Fénis.
Dopo
la morte di Bonifacio I
le fortune del ramo
della famiglia Challant
proprietario del
castello si ridussero
considerevolmente.
Bonifacio
II, succeduto al padre
nel 1426, resse il feudo
per quasi cinquant'anni,
fino al 1469. Appare però
come figura di secondo
piano, di grandi
ambizioni ma di modesto
acume politico. La vita
di Bonifacio II appare
sconvolta dalle beghe e
dalle liti di famiglia.
Oltre all'esplodere
della guerra di
successione Challant,
deve fare i conti con i
continui contrasti che
lo contrappongono ai
suoi numerosi figli:
tredici documentati tra
legittimi e illegittimi.
Quello
che sembra aver più
amato, Giovanni, primo
marito della famosa
Caterina di Challant,
sarebbe morto,
probabilmente
epilettico, nel 1446;
Guglielmo, prima eletto
suo successore e poi
diseredato, gli sarebbe
nuovamente premorto, nel
1457; il feudo sarebbe
quindi passato all'altro
figlio Aimone, secondo
di questo nome, che lo
avrebbe gestito fino al
1486.
Alla
sua morte senza eredi,
feudo e castello
sarebbero tornati nella
linea di Guglielmo, al
suo primogenito,
Umberto, fino al 1513.
Il
Cinquecento e il
Seicento. Le ultime
trasformazioni del
castello - Dopo
la morte di Umberto,
nipote di Aimone II, nel
1513, il feudo e il
castello di Fénis
passano ai suoi figli.
Gaspare, primogenito,
riceve il feudo francese
di Montbreton, Carlo
quello valdostano di Fénis.
È
da Carlo che si
staccheranno i due rami
della famiglia in cui la
stirpe degli Challant
sopravvivrà fino alla
fine del Settecento.
Quello
primogenito, titolare
proprio del feudo di Fénis,
discende dal figlio
maggiore di Carlo,
Francesco, che avrebbe
gestito il potere dalla
morte del padre, nel
1556, per mezzo secolo,
fino al 1606.
A
Francesco sarebbero
succeduti uno dopo
l'altro il figlio
Giovanni Prospero, fino
al 1630, il nipote
Claudio Leonardo, morto
nel 1650, e infine il
bisnipote Antonio
Gaspare Felice, morto
nel 1705.
Le
tracce degli interventi
di tutti questi
personaggi sul corpo del
castello sono però
veramente minime e si
riducono a piccoli
frammenti decorativi
isolati, sparsi nelle
diverse sale
dell'edificio.
Al
Seicento sembrerebbero
doversi assegnare
l'albero genealogico
dipinto al secondo piano
sul cortile e gli
affreschi con paesaggi
locali della fascia
superiore della sala
bassa dell'ala
meridionale.
Il
Settecento e la prima
metà dell'Ottocento:
dal declino al degrado,
da castello a casa
colonica - Quello
che appare certo è che,
a parte i limitati
interventi decorativi
citati, il XVI e il XVII
secolo per il castello
dovettero segnare un
lungo periodo forse non
di degrado ma quanto
meno di stasi e di
amministrazione
assolutamente ordinaria.
Il
degrado vero e proprio
iniziava nel XVIII
secolo.
Alla
morte di Antonio Gaspare
Felice, nel 1705, Fénis
passava al ramo cadetto
degli Challant Châtillon,
in particolare a Giorgio
Francesco che, però,
oberato di debiti, era
costretto a venderlo per
il prezzo di 90.000
lire, nel 1716, ai
Saluzzo Paesana.
Un
certificato catastale
redatto al momento
dell'ultima vendita di
fine Ottocento allo
Stato, riassume
brevemente un secolo di
passaggi di proprietà.
Il castello restava in
proprietà ai Saluzzo
Paesana fino al 23
maggio 1798, giorno in
cui veniva acquistato da
Pietro Gaspare Ansermin.
Questi lo lasciava in
eredità al figlio
Costantino Ansermin il 3
giugno 1810. A sua
volta, questi, morendo
il 12 agosto 1837, lo
lasciava alla propria
figlia Maria Genoveffa.
Questa lo deteneva fino
al 1863. Quell'anno, in
data 3 agosto, lo
vendeva a Michele
Baldassarre Rosset, di
Quart.
L'ultimo
passaggio di proprietà
è datato 21 maggio
1894, quando il Rosset,
"per anticipazione
di eredità" donava
il castello ai suoi
figli Cesare e Michele.
Successivamente, il 2
settembre 1895 "il
medesimo castello colle
sue adiacenze"
entrava in proprietà di
un terzo figlio del
Rosset, Giuseppe,
diplomatico che allora
rivestiva il ruolo di
console italiano ad
Odessa. Doveva però
trattarsi di un semplice
passaggio di comodo
perché il giorno dopo,
3 settembre dello stesso
1895, il console
Giuseppe Rosset vendeva
il castello allo Stato
italiano "a mezzo
del sig. comm. d'Andrade".
Ridotto,
già al tempo dei
Paesana, al ruolo di
casa colonica, il
castello era stato
davvero privato - in
quasi tutte le sue parti
- anche dell'ordinaria
manutenzione. Pavimenti
e soffitti erano
pericolanti o del tutto
scomparsi. Fatiscenti
quasi tutti i tetti.
Crollate o in via di
crollo diverse tratte
delle cinte murarie e
crollata almeno una
torre, quella adiacente
all'ingresso esterno.
L'Ottocento.
Alfredo d'Andrade e la
riscoperta di Fénis: da
casa colonica a
Monumento nazionale - L'acquisto
del castello da parte
dello Stato italiano da
un lato può
considerarsi il primo
atto dell'ultima fase
della vita
dell'edificio; da un
altro lato, però, era
già l'atto conclusivo
di una lunga riscoperta.
Nell'agosto
del 1865 a Fénis,
arrivava per la prima
volta Alfredo d'Andrade,
giovane aspirante
pittore portoghese da
poco stabilitosi in
Piemonte.
Il
ruolo di d'Andrade fu,
notoriamente,
fondamentale nella
riscoperta e soprattutto
nel salvataggio del
castello.
Il
viaggio del 1865 fu una
prima presa di contatto
ma il castello doveva
aver fortemente
impressionato il
giovane.
Dal
1882 inizia la seconda
fase che vede Fénis al
centro dell'attenzione
in quanto elemento
qualificante di quello
che sarebbe stato il
progetto del
"castello
medievale" da
costruirsi per
l'esposizione di Torino
del 1884.
Anche
dopo l'inaugurazione
dell'esposizione
l'interesse di d'Andrade
per Fénis non scemava.
Dal 1884 all'88 sono
documentate sue visite
annuali, da ognuna delle
quali d'Andrade
rientrava col suo bel
gruzzolo di disegni,
rilievi, schizzi.
È
verosimile che proprio
nel corso di questi
viaggi maturasse l'idea
dell'acquisizione del
castello che entrava in
fase operativa due anni
dopo.
È
lo stesso d'Andrade a
riferire al 1890 le
prime trattative con i
Rosset per l'acquisto
dell'edificio. Dopo
alterne vicende queste
si concludevano nel 1895
e, come previsto dal
contratto, lasciati
passare due anni
necessari al
trasferimento della casa
colonica alloggiata
nell'edificio, d'Andrade
ne prendeva
ufficialmente possesso a
nome dello Stato, nella
sua veste di Direttore
dell'Ufficio per la
conservazione dei
monumenti, il 3
settembre 1897.
Con
la collaborazione di De
Marchis, che si
insediava nel castello
come custode factotum,
d'Andrade cominciava a
impostare il recupero
fisico e statico
dell'edificio, che si
sarebbe protratto per
decenni.
Il
Novecento. I restauri
del castello - La
situazione doveva essere
davvero disastrosa ed è
documentata da una serie
di fotografie conservate
negli archivi della
Soprintendenza ai Beni
artistici del Piemonte.
Le prime operazioni
erano di vera e propria
messa in sicurezza e di
sistemazione delle
infrastrutture che
sarebbero poi state
necessarie ai lavori
successivi. Nello stesso
1897 si tracciava la
nuova strada di accesso
al castello da est.
Nel
1898 si alzava un
parafulmine su una delle
torri. Contemporanei
erano i primi interventi
urgenti diretti da
Bertea: "mura a
secco per sostenere la
strada, un canale per
regolare il deflusso
delle acque piovane, la
sistemazione dei tetti
del grande torrione
della cinta esterna,
della torre quadrata
occidentale, del salone
della cappella, della
torre colombaia".
Le
direttive fissate in
queste prime campagne di
intervento al castello
sarebbero valse di fatto
per due decenni, anche
quando, partito d'Andrade,
ormai vecchio e malato,
per Genova, i lavori
sarebbero passati sotto
la conduzione di Seglie.
La
scelta di fondo era
quella di piccoli
interventi, spesso di
fortuna, altamente
selezionati in rapporto
alle più immediate
esigenze di
conservazione. Non c'è
dubbio che l'opzione era
fissata, di fatto
imposta, dalle scarse
disponibiltà
economiche. Gli
stanziamenti documentati
si aggiravano mediamente
nell'ordine delle
duemila lire.
Sta
di fatto che i lavori
comunque procedevano.
Dopo aver rifatto tutti
i tetti e ripassato le
murature pericolanti,
mettendo così in
sicurezza l'edificio, i
tecnici della
soprintendenza passavano
al rifacimento dei
solai, alla
realizzazione di nuovi
serramenti, al
consolidamento delle
cinte murarie esterne.
Quando il 30 giugno del
1920 queste ultime
campagne condotte da
Seglie si concludevano
il degrado poteva dirsi
ormai arrestato e il
castello di fatto
salvato.
Purtroppo
la correttezza del
grande restauro di D'Andrade-Bertea-Seglie
del 1897-1920 sarebbe
poi stata cancellata
dalla successiva
campagna De
Vecchi-Mesturino
condotta, dopo D'Andrade,
negli anni tra la prima
e la seconda guerra
mondiale, per la
precisione con inizio
nel 1935. A questa fase
risale anche il riarredo
del castello.
A
tutte queste diverse
campagne, a partire dal
1897 ovviamente, avrebbe
partecipato ancora una
volta buona parte della
popolazione del comune.
Da
qui comincia la storia
più recente del
castello di Fénis, che
è quella, fino ad oggi,
di monumento amato e
visitato da valdostani e
turisti.
Architettura
Giuseppe
Giacosa nel
suo I
Castelli
Valdostani descrive
il castello di Fénis
come segue: «Di
fuori è un fascio
di torri che si
accavalcano, le
une quadrate e
tozze, le altre
rotonde, sottili,
tutte merlate,
armate,
irabertescate,
irte di aggetti
d'ogni maniera,
che sembrano
minacciare soprusi
e violenze, che
sfidano il
viandante e gli
gridano: fuori,
che frastagliano
il cielo con
bizzarri profili.
Dentro è un
chiostro raccolto,
silenzioso, tutto
ombre, sobrio e
corretto nelle
insolite forme e
nei ricchi colori.
A vederlo di
lontano ha un'aria
petulante di
spavaldo; a chi v'
entra, spira la
calma dei forti»
Il
castello è
costituito da un
corpo centrale di
forma pentagonale,
probabilmente
dovuta alla
necessità di
inglobare
strutture
preesistenti e di
seguire le
irregolarità del
terreno,
circondato da una
doppia cinta
muraria merlata lungo
la quale sono
posizionate
diverse torrette
collegate tra loro
da un cammino
di ronda. Le torri
più grandi, a sud
e a ovest, sono
munite di feritoie per
frecce, e beccatelli a
sostegno della
parte più alta.
Il muro rivolto a
nord, verso la
strada maestra che
attraversava la
valle e quindi il
più esposto a
eventuali
attacchi, era
dotato di quattro
torrette
circolari,
divenute cinque in
seguito ai
restauri degli anni
trenta.
Si accede
all'interno della
struttura
attraverso un
portale che si
apre nelle mura
del lato a sud e
passa vicino a una
delle torri più
antiche del
maniero.
Questo ingresso è
stato realizzato
durante la
ristrutturazione
degli anni trenta,
mentre l'accesso
originale si
trovava
probabilmente nei
pressi della torre
quadrata sul lato
ovest.
Superata
la cinta muraria
ci si ritrova in
un cortile chiuso,
che circonda la
struttura
centrale. Sul lato
nord-est di questo
cortile è
presente un
edificio
rettangolare un
tempo adibito a
scuderia, mentre
l'accesso al corpo
abitativo centrale
si trova in
corrispondenza
della torretta a
metà del lato est.
Il corpo centrale
si sviluppa su tre
piani, che
circondano un
cortile interno
quadrangolare,
oltre al
seminterrato dove
erano situate le
cantine e le
prigioni. Il piano
terreno era
destinato alla guarnigione del
castello e a
locali di
servizio: vi si
trovavano in
particolare il
corpo di guardia,
la cucina e una
sala da pranzo.
Il primo piano era
riservato ai
signori del
castello e
ospitava una
cucina, le stanze
dei signori, il
tribunale e la
cappella. Il
secondo piano
infine era
destinato alla
servitù e agli
ospiti del maniero.
Il maniero poteva
accogliere
complessivamente
circa sessanta
persone tra la
famiglia del
signore, eventuali
ospiti,
guarnigione e
personale di
servizio.
Percorrendo
lo spazio entro la
prima cinta
muraria del
castello si notano
in alto, scolpite
in pietra sulle
mura, alcune
maschere aventi
funzione apotropaica.

|

Pianta
del castello
di Fénis.
E'
possibile
notare la
doppia cinta
muraria con
l'accesso da
sud, il
cortile
interno (1),
e la sala da
pranzo (3) |
Il
cortile
- Centro
del corpo abitato
centrale è il
piccolo cortile di
forma
quadrangolare
realizzato da Bonifacio
I tra la fine
del XIV e
l'inizio del XV
secolo.
Al centro
del cortile si
trova un
caratteristico
scalone semicircolare in
pietra, sulla cui
sommità svetta un
affresco
raffigurante San
Giorgio che
uccide il drago,
realizzato intorno
al 1415 e
attribuito alla
bottega di Giacomo
Jaquerio.
Il tema di San
Giorgio e il drago
era molto diffuso
al tempo in Valle
d'Aosta, in quanto
era considerato
un'incarnazione
dell'ideale
cavalleresco.
Sull'affresco si
può notare il monogramma BMS,
interpretato come
le iniziali del
committente, Bonifacium
Marexallus
Sabaudiae.
Il
cortile, le cui
pareti sono
interamente
affrescate da
decorazioni in
stile gotico
internazionale, è
circondato su tre
lati da una doppia
balconata in legno
in corrispondenza
dei due piani
superiori. Lungo
le pareti della
balconata si snoda
una serie di
saggi, uno diverso
dall'altro, che
reggono pergamene
riportanti proverbi e massime
morali scritte
in francese antico.
Un tempo in
corrispondenza di
ognuno dei saggi
era indicato il
nome del
personaggio
raffigurato, ma la
maggior parte di
essi sono ormai
illeggibili,
tra questi saggi
è raffigurato
anche un
personaggio in
costume arabo,
probabilmente per
ricordare la
partecipazione di
Challant a una
crociata.
Tra
i proverbi e le
massime morali è
possibile citare:
(FR)
«Il
n'est pas sire de
son pais / qui de
ses homes est hais
/ bon doit estre
sire sclamés /
qui de ses freres
est amés.»
(IT)
«Non
è signore del suo
paese / chi è
odiato dai suoi
soggetti / ma deve
essere proclamato
signore / chi è
amato dai propri
fratelli.»
(FR)
«Se
uns homs avoit a
goeverner / le
ciel la terre et
la mer / et tous
hommes que Dieu a
fais / ni aroit
riens cil navait
paix.»
(IT)
«Se
un uomo avesse
sotto di sé / il
cielo, la terra e
il mare / e tutti
gli uomini che Dio
ha creato / non
avrebbe niente se
non avesse pace.»
In
un angolo del
cortile si trova
anche una sorta di
profezia:
(LA)
«Maneat
domus donec
formica aequot
bibat et lenta
testudo totum
perambulet orbem.»
(IT)
«Duri
questa casa, finché
la formica abbia
bevuto il mare e
la lenta
testuggine abbia
tutta aggirata la
terra.»
Su
uno dei muri del
castello è stata
trovata anche una
poesia, in
francese antico,
attribuita a
Bonifacio I e
scritta in
occasione delle
nozze di sua
figlia Bona con il
signore di Uriage
Jean Allamant e la
sua conseguente
partenza,
considerata uno
dei più antichi
esempi scritti
della lingua
francese parlata
nella zona alla
fine del Medioevo.
(FR)
«Pauvre
oyseillon
qui de
chez moi
t'envoles
si loin de
la Doyre
en ton
cuer
conserve
memoyre
de qui
prie et
pleure
pout toi.
B.C.
xx nov.
MCCCCII.» |
(IT)
«Povero
passerotto
che da
casa mia
voli così
lontano
dalla Dora
serba in
cuor tuo
il ricordo
di chi
prega e
piange per
te.
B.C. 20
nov. 1402.» |

La
parete più
stretta del
cortile, di fronte
all'affresco di
San Giorgio, fu
decorata nella
seconda metà del
XV secolo dal
pittore Giacomino
da Ivrea su
incarico di Bonifacio
II di Challant,
figlio di
Bonifacio I, e
raffigura i santi Uberto, Bernardo,
un santo vescovo
(forse San
Teodulo), Santa
Apollonia e Sant'Ambrogio,
un'Annunciazione e
dei motivi
vegetali.
Sotto di essi si
trova un
monumentale San
Cristoforo, la cui
attribuzione è
resa difficile dai
pesanti restauri
subiti.
Essendo San
Cristoforo il
protettore dei
viaggiatori la sua
presenza nei
pressi dell'uscita
del castello
voleva forse
essere un augurio
di buon viaggio
nei confronti di
chi lasciava il
maniero.
Il
cortile del
castello di Fénis
fu usato da
Alfredo d'Andrade
come modello per
la Rocca
del Borgo
Medievale di
Torino, realizzato
in occasione
dell'Esposizione
Generale Italiana
Artistica e
Industriale del 1884.
Il cortile della
Rocca Medievale
riproduce
fedelmente lo
scalone
semicircolare, le
balconate in
legno, gli
affreschi dei
santi e San
Giorgio che uccide
il drago.
Il
piano terra -
Dal cortile si
accede a una
grande stanza
rettangolare che
occupa gran parte
del lato nord del
piano terra. Questa stanza,
menzionata come
"grande
salle basse"
in un inventario
redatto nel 1551 è
oggi chiamata sala
d'armi per la
presenza di una
rastrelliera per picche.
Il locale era
anche dotato di un
trabocchetto per i
condannati a
morte, che
consisteva in un
pozzo con le
pareti ricoperte
da lame ricavato
nella torretta
circolare
nell'angolo
nord-ovest.
Attualmente nella
stanza si trova un
plastico del
castello e un
grande camino in
pietra addossato
alla parete di
fondo.
Il soffitto in
legno di questa
come della maggior
parte delle altre
sale è stato
rifatto durante i
lavori di restauro
del XX
secolo, mentre i
camini in pietra
fanno parte
dell'arredo
originale del
castello.
Dalla
sala d'armi si
accede alla sala
da pranzo, così
chiamata in
seguito
all'allestimento
del museo del
1936, mentre
l'inventario del
1551 la definisce
“chambre
basse”.
Nella stanza si
trovano alcuni
tavoli e sedie del XVI – XVII
secolo.
Adiacente
alla sala da
pranzo si trova
quella che doveva
essere la cucina
principale del
castello, come
suggerisce la
presenza di un
monumentale
camino, la cui
funzione doveva
essere, oltre la
cottura dei cibi,
anche quella di
riscaldare le
stanze dei piani
superiori e anche
la sala delle
riunioni.
La stanza è stata
arredata con vari
tipi di credenze in
legno.
Il
lato sud del piano
ospitava il pozzo
della cisterna per
l'acqua piovana,
la legnaia e altri
locali di
servizio.
Attualmente vi si
trovano un carro
agricolo e una
serie di bauli e
forzieri.
Pianta
del
secondo
piano del
castello.
Si notano
la "chambre
des tolles"
(5) e il
suo
cabinet
(4), il
tribunale
(6), la
cucina
superiore
(7), la
"chambre
blance"
(8) e la
cappella
(9) |
Il
primo piano
- Il
primo piano, il più
elegante e meno
freddo del
maniero, era
riservato ai
signori del
castello. Qui si
trovavano le loro
stanze private,
gli ambienti di
rappresentanza e
la cappella.
Sul lato nord, in
corrispondenza
della cucina del
piano terra, si
trova un locale
che la presenza di
un grande camino e
di un acquaio fa
ritenere una
seconda cucina,
attualmente
arredata con una
serie di sedie,
sedili e una
coppia di panconi
ottocenteschi di
stile tardogotico.
A
fianco della
cucina si trova
quella che è
definita come la
camera da letto
del signore del
castello, chiamata
"chambre
blanche"
nell'inventario
del 1551. Il muro
in comune con la
cucina ospita un
grande camino in
pietra con dipinto
lo stemma della
famiglia
Challant. La
stanza ospita una
serie di
contenitori e
cassoni intarsiati e
un letto a
baldacchino con
colonne tortili,
riproduzione di un
modello toscano
della fine del XVI
secolo.
Al
centro del lato
sud si trovano la
stanza che
nell'inventario
del 1551 è
definita “chambre
des tolles”,
arredata con
alcuni cassoni a
doppia facciata
caratterizzati da
una facciata
decorativa sul
lato anteriore, e
l'adiacente “cabinet
de la chambre des
tolles”, che
ospita un letto e
un cassone del XVI
secolo e una
cassapanca
ottocentesca,
provenienti dalla
collezione
dell'industriale Riccardo
Gualino.
Giustino
Boson nel suo
libro Il
castello di Fénis
chiama queste
due stanze
rispettivamente
“sala da
pranzo” e
“camera della
signora”. Una
chiara
identificazione
della destinazione
dei locali è resa
difficile dal
fatto che quasi
tutto il mobilio
originale è
andato perduto nel
tempo e che
diverse stanze
hanno cambiato la
loro funzione nel
corso dei secoli.
L'angolo
a sud ovest del
piano è occupato
dalla stanza
definita “poelle”,
ossia stanza
riscaldata, e oggi
chiamata tribunale.
Il nome attuale
deriva dalla
presenza sul
camino di un
affresco
raffigurante le
quattro virtù
cardinali (Fortezza, Prudenza, Temperanza e
infine Giustizia,
che svetta sulla
altre) e lo stemma
di Emanuele
Filiberto I o
di Carlo
Emanuele I, duchi
di Savoia tra
il 1559 e il 1630.
Nella stanza si
trovano
attualmente alcuni
cassoni da corredo
acquistati negli
anni trenta a Saluzzo.
La
cappella -
L'intero lato nord
del primo piano è
occupato da una
lunga sala
rettangolare
definita cappella,
uno degli ambienti
più suggestivi
del castello. In
passato la sala
era probabilmente
divisa in due da
una grata lignea
analoga a quella
presente nel castello
di Issogne, che
separava la
cappella vera e
propria dal locale
di rappresentanza
chiamato “salle
de la chapelle”.
Il lato
occidentale ospita
un grande camino
in pietra e le
pareti dei lati
lunghi e a ovest
sono decorate con
motivi geometrici
eseguiti durante
il restauro del XX
secolo sulla
base di un
frammento del XIV
secolo rinvenuto
da Alfredo
d'Andrade nei
pressi del camino.
La stanza è
arredata con una
serie di mobili in
stile tardogotico.
Il
lato est della
grande sala
ospitava
probabilmente la
cappella privata
dei signori del
castello. L'inizio
del locale è
evidenziato da una
trave che
attraversa
trasversalmente la
grande sala
rettangolare. In
corrispondenza di
essa si trova un
pregiato
crocifisso ligneo
che i recenti
restauri hanno
permesso di
attribuire alla
bottega del Maestro
della Madonna di
Oropa, dalla quale
provengono diverse
sculture sacre
destinate a chiese
valdostane tra la
fine del XIII
secolo e i
primi anni del XIV
secolo.
Diversamente
dalla decorazione
geometrica del
resto della
stanza, le pareti
laterali della
cappella sono
completamente
affrescate con
figure di santi e apostoli disposte
su due file
sovrapposte. La
parete di fondo è
divisa in due da
una grande
finestra ai cui
lati si trovano
sulla destra una
crocifissione e
sulla sinistra una Madonna
della
Misericordia.
Ai
piedi della
Madonna, protetti
dal suo mantello,
vi sono due gruppi
di fedeli separati
in laici (sulla
destra di chi
guarda) e
religiosi (sulla
sinistra di chi
guarda). Tra di
essi è possibile
riconoscere
diverse figure
dell'epoca, tra i
quali il Papa e
l'Imperatore,
disposti
immediatamente a
fianco della
Vergine come
capofila
rispettivamente
dei religiosi e
dei laici, e
alcuni membri
della famiglia
Challant, come il
committente delle
opere Bonifacio
I (nel gruppo
dei laici vestito
con un abito
rosso), il
fratello di
Bonifacio Amedeo
di
Challant-Aymavilles e
la sua giovane
sposa Luisa di
Miolans.
Gli
affreschi della
cappella, così
come la maggior
parte di quelli
del cortile, sono
stati realizzati
in stile gotico
internazionale nei
primi decenni del XV
secolo e
attribuiti alla
scuola del maestro
piemontese Giacomo
Jaquerio. Non è
certo se Jaquerio
abbia lavorato di
persona alle
opere, mentre
sembra sicuro
l'uso dei modelli
Jaqueriani.
I
recenti restauri
eseguiti sugli
affreschi della
cappella hanno
messo in evidenza
alcuni dettagli
che fanno pensare
a una certa fretta
di concludere il
lavoro, come la
presenza
nell'affresco
della
crocifissione
della traccia di
una figura in armatura inginocchiata,
mai realizzata.
Il
secondo piano e il
tetto
- Il
secondo piano del
castello, non
accessibile
durante le visite
guidate, era
raggiungibile
attraverso una
scala a
chiocciola. Esso
era destinato agli
alloggi della
servitù, dei
soldati, alle
camere per gli
ospiti e alle
soffitte. Dal
secondo piano,
attraverso la
torre del lato
ovest, era
possibile salire
sul tetto dove si
trovava un cammino
di ronda.
Il
tetto, in lose di
pietra, è
caratterizzato da
un doppio
spiovente, la
parte interna del
quale convoglia
l'acqua verso il
cortile centrale
sottostante dove
poteva essere
raccolta nella
cisterna.
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